Questo che state – virtualmente – sfogliando è il primo numero di una nuova rivista di antropologia culturale.
Molti di voi si chiederanno il senso di un’iniziativa simile in un
momento come questo. La crisi dell’antropologia in Italia è sotto gli
occhi di chiunque la voglia vedere: chiusura dei corsi, sbocchi
professionali praticamente nulli, neanche quelli, come l’insegnamento
nei licei delle Scienze Umane o come l’impiego come funzionario per i
beni DEA nelle Soprintendenze, che sembrerebbero fuori discussione.
Anche le scuole di dottorato si sono drasticamente ridotte, così come le
borse di studio nelle poche che sono rimaste.
Sui forum e sui blog che si occupano di antropologia il ritornello è
sempre uno: l’Italia non è un paese per antropologi. Ma può essere
questa la soluzione? Al di là della libera scelta di ognuno, può la fuga
dei cervelli essere l’unica prospettiva per chi vuole proseguire in
questo campo? Certo, le politiche che gli ultimi governi hanno portato
avanti sono a dir poco avvilenti. “Dalla cultura non si mangia”, ha
detto l’ex ministro Giulio Tremonti.
Eppure la risposta che diamo è un risoluto NO!
È urgente – ed è in atto – una riflessione sulla nostra disciplina e
su come possa inserirsi nelle dinamiche della società nel quale viviamo,
non solo dal punto di vista lavorativo. Nella valorizzazione del
patrimonio culturale, nelle policy nel campo delle migrazioni, nella
pianificazione urbanistica: sono tanti i
settori in cui potremo intervenire con competenza e cognizione di
causa. A queste tematiche abbiamo scelto di dedicare una rubrica fissa
all’interno della rivista – Lavoro – in cui raccontare
esperienze di antropologia applicata e professionale o proporre
riflessioni di carattere più generale, anche fortemente critiche, come
quella pubblicata in questo numero, contro la formazione accademica e i
suoi limiti.
Ma l’intento di Intrecci va oltre, offrendo la possibilità a studenti
alle prime armi di confrontarsi con i meccanismi delle pubblicazioni
scientifiche ben più autorevoli della nostra. Una delle cose che manca
nella formazione antropologica italiana è la pratica di scrittura,
soprattutto nella forma di articolo. Eppure è principalmente attraverso
questo strumento che avviene la comunicazione scientifica, nel settore
antropologico come in qualunque altro. Alla domanda “Che cosa fa
l’antropologo?” Clifford Geertz rispondeva “Scrive”. È ovvio che c’è
molto altro, ma è anche indiscutibile che mettere al corrente del lavoro
fatto – o che si sta facendo – deve essere un obbligo, così come quello
di sottoporsi al giudizio “tra pari”. Per questo le prime due rubriche
di cui è composto Intrecci – Proposte e Ricerche – presentano contributi inediti e sottoposti a peer review, attraverso il procedimento del double blind.
Quella che proponiamo è un’idea di antropologia culturale ampia,
inclusiva, che superi certi steccati che le scienze sociali e
umanistiche hanno artatamente costruito e che costituiscono spesso un
ostacolo alla comprensione delle pratiche culturali. In questo senso, il
sottotitolo “Quaderni di antropologia culturale” è da intendere in
senso lato. Già in questo primo numero potrete leggere un articolo di
storia sociale ed uno al confine dei cultural studies.
Insomma, Intrecci vuole essere uno strumento di crescita per chi si
affaccia al mondo dell’antropologia in Italia e vuole crescere a sua
volta, dotandosi già dal prossimo numero di un comitato scientifico e
aprendosi a contributi anche internazionali.
Le nostre intenzioni non possono essere che delle migliori.
Il primo numero della rivista è consultabile on line
http://www.intrecci-rivista.com/
Complimenti per la prima "pubblicazione". Un lavoro davvero notevole e interessante. Per quanto mi riguarda assolutamente da seguire.
RispondiEliminaGrazie per i complimenti!
RispondiEliminaOltre che seguire puoi anche partecipare.. accettiamo contributi inediti in diverse lingue.. http://www.intrecci-rivista.com/call-for-papers/