sabato 23 luglio 2011
Non nel mio nome
Oslo è la dimostrazione che l'odio che si manifesta verso gli "altri" si può contorcere verso se stessi. Alla memoria delle vittime di questa violenza, e di tutte le persone che ogni giorno, in tutto il mondo, devono stare attente affinché qualche pazzo accecato da qualche strana ideologia non le faccia saltare in aria o le riempia di pallottole.
martedì 19 luglio 2011
L'evoluzione del dibattito
Sono passati più di due mesi dal post Chi può dirsi antropologo? in cui cercavo di andare oltre la frustrazione che serpeggia tra gli aspiranti antropologi e provavo a ragionare su quali prospettive si aprono ad un neo laureato, come tanti membri della nostra associazione e anche io fra non molto.
L’accoglienza iniziale è stata più che tiepida, diciamocelo… qualche ‘mi piace’ su facebook, qualche commento qua e là… poi, finalmente, il dibattito ha iniziato ad ingranare grazie al contributo della comunità di Anthropos.
Insomma, dietro il quadro quasi avvilente in cui versa l’antropologia italiana, qualcosa si muove. Dico ‘quadro avvilente’ perché, sinceramente, non saprei come altro definirlo: i corsi di laurea, triennale e magistrale, stanno chiudendo un po’ ovunque, Sassari compresa; alcune scuole di dottorato, come quella di Siena, spariscono. Il peso dei tagli delle ultime riforme si fa sentire e solo i grossi centri, come La Sapienza o Bicocca, mantengono i loro corsi. Aggiungete il fatto che, nonostante un’ampia mobilitazione, ancora non siamo riusciti a fare in modo che i laureati in antropologia possano insegnare nei Licei delle Scienze Umane o che le funzioni di funzionario DEA presso il Ministero vengano svolte da antropologi.
La situazione può portare all’arrendevolezza o peggio a confidare in una qualche forma di provvidenza. Questo sarebbe il più grosso errore da fare… perché se aspettiamo l’intervento di un deus ex machina che ci risolva i problemi non facciamo altro che lasciarli crescere, finché non saranno troppo grandi anche solo per pensare di affrontarli.
Perché qualcosa si muova al di fuori dell’accademia sono necessari due elementi: impegno e unità.
Impegno in prima persona, dal basso, per comunicare l’antropologia, i contributi che può dare e i campi in cui può intervenire, per portare le nostre riflessioni fuori dai dipartimenti e dalle aule universitarie in cui, a volte, noi stessi le confiniamo.
Unità tra chi cerca di muoversi in questa direzione, attraverso un dibattito costruttivo che porti a forme condivise di azione, con un occhio alle specificità locali (siamo antropologi mica per nulla…) e un orecchio al mondo che ci circonda.
Qualcosa, grazie al dibattito che si è sviluppato su Anthropos, si è mosso. Qualcosa che ci vede attori partecipi, come associazione e come aspiranti antropologi. Come dibattiti simili hanno portato qualche anno fa alla nascita di Antrocom, oggi realtà più che affermata nel panorama dell’antropologia italiana, in questi giorni stanno delineando un soggetto più ampio, ancora da definire nelle sue componenti strutturali ma chiaro nei suoi propositi fondamentali.
ASSDEA non può che essere entusiasta di una prospettiva del genere… è la naturale prosecuzione del percorso iniziato quando, tra chiacchierate in fila in segreteria, di fronte ad un caffè o sostenendo esami, ha peso corpo l’idea di associarci.
Questo nuovo soggetto sarà la risoluzione di tutti i mali dell’antropologia italiana? No, sicuramente no… ma sarà un passo verso quella direzione.
Vi terremo informati sugli sviluppi futuri e vi invito a partecipare attivamente al dibattito sul forum Anthropos. Ne abbiamo da guadagnare tutti o, come dice una canzone politica sarda, ‘possiamo solo perdere queste nostre catene’.