Il potere di concentrazione di piccoli bambini da tre a quattro anni di età non ha riscontro altro che nel genio.
Maria Montessori, Educazione alla libertà, 1950.
Per cercare di spiegare cosa significa realizzare la “libertà del bambino” Maria Montessori [1] fa riferimento anche all’attenzione “verso un materiale sensoriale” che lo guida attraverso l’esperienza che ne fa, in vista di un suo utilizzo razionale, che “lo rende padrone di una cultura” e ne forma il carattere.
Il bambino posto di fronte ad un “oggetto” lo usa “secondo lo scopo per cui è stato costruito” e ripete l’esperienza innumerevoli volte. Tutto ciò che accade in pratica è mosso da “un impulso interiore primitivo, quasi un vago senso di fame interna” che lo induce a ripetere la stessa operazione esercitando le sue attività psichiche e favorendo “uno sviluppo interiore”.
Si tratta di un’operazione che si rivela piacevole e che soddisfa un’esigenza interiore del bambino, “infatti l’attenzione del piccolo bambino non è stata nel nostro esperimento, trattenuta artificialmente da un «maestro», ma fu un «oggetto» che trattenne e fissò l’attenzione del piccolo bambino, come se corrispondesse ad un impulso interiore; (…)”.
L’impulso interiore del bambino corrisponde nelle cose a quelli che Ingold [2] definisce “prinicipi generativi incorporati nelle condizioni materiali” (Ingold, 2004: 206) di produzione degli oggetti. Nel caso della conchiglia “il principio è quello della proporzione invariante” cioè esso “attraverso una semplice iterazione, genererà sempre e invariabilmente una spirale logaritmica”, così per il cesto vale il principio che “ogni incremento di estensione longitudinale è attaccato, lato a lato, a quello precedente nel senso trasversale” e dunque genererà “sempre e invariabilmente una spirale aritmetica” (Ingold, 2004: 206).
Questa tensione tra uomo e materia si manifesta sin dai primi anni d’età quando i bambini “sembrano l’infanzia di uomini straordinari nei loro poteri di attenzione” (Montessori, 1999: 71).
Se al bambino vengono presentati gli oggetti “col loro cumulo di attributi” egli non elabora un proprio ordine interno di considerazioni e la sua interpretazione del reale non ha un fondamento sicuro, si basa bensì sulla confusione, su una elaborazione “passiva” che si allontana dal compito del maestro di “mantenere sempre viva quella luce in lui che si chiama l’intelligenza”.
“…come il Centauro saggia i venti e le fonti…Non è lo stesso per il bambino? …l’uomo fatto interrompe tali esperienze e, essendo appunto “fatto” cessa di farsi”. Il processo di apprendimento di un’abilità manuale, quale avviene in un contesto artigiano, include la prospettiva di Maria Montessori e quella contenuta nelle parole di Henri Focillon, nella sua opera Elogio della mano [3], di cui è stato riportato un breve estratto, poiché emerge da entrambi l’intrinsichezza dell’uomo con la materia.
La trasmissione del sapere nel contesto artigiano avviene by watching, by doing e by using.
Il “sistema tecnico” attraverso il quale il sapere artigiano viene trasmesso di generazione in generazione consiste nella trasmissione di “un tipo di realtà già di per se stessa organizzata in parti, in momenti e in operazioni che sono il risultato di operazioni razionali di organizzazione della realtà esterna e interna all’uomo operatore”.[4]
Gli oggetti hanno una storia: sono realizzati da qualcuno, in un determinato contesto e vengono impiegati da qualcun altro che ne sperimenta la funzionalità. L’artigiano conosce la storia dell’oggetto perché è lui a crearlo. L’oggetto è il risultato dell’impiego di una determinata materia prima secondo un paradigma d’azione che egli segue con rigore pratico e coerenza logica.
L’apprendistato come “modello formativo ed educativo” [5] (Emiliani, 1983: 205) è andato scomparendo nell’età industriale e non esiste un’istituzione ufficiale che abbia mantenuto il valore della trasmissione orale del sapere, un sapere come quello artigiano che non poggia sui libri ma sull’esperienza che si fa della materia in un contesto fortemente caratterizzato come la bottega di un artigiano: “(…) proprio nelle cose, negli oggetti, nelle pietre, si libera una nozione di tempo che non è vincolata a strutture mentali, morali, esemplari: ma piuttosto esistenziali e antropologiche” (Emiliani, 1983: 208).
Maria Lai elabora un “pensiero pedagogico” nel quale il bambino viene considerato come essere complesso in evoluzione nel tempo e nello spazio, la cui sensibilità deve essere educata in modo da renderlo disponibile all’esperienza della vita: “la crescita sale quando lo sguardo trova una guida e la possibilità di lunghi esercizi”. [6]
Giunti all’età di tre anni i bambini “maneggiano tutte le materie che riescono ad afferrare avidamente: carte, creta, sabbia, etc. iniziano così a ragionare: con gli occhi e con le mani (Pinto Minerva, 2007: 20). A coloro che li educano il compito di procuragli terreno fertile sul quale possano muovere autonomamente i propri passi verso l’arte di osservare: “Occorrerà indagare lungamente per quali ragioni e attraverso quali strade fin dalla seconda metà del secolo scorso la scuola, l’avviamento scolastico e pedagogico, abbiano fallito sostanzialmente il loro iniziale compito primario, che era appunto quello di surrogare e sostituire l’oralità dell’apprendistato (…)” (Emiliani, 1983: 205).
Il ramaio Giovanni Mura di Isili (Giovanni Mura, Isili, 1923, ramaio), esprime in una frase sia l’esperienza concreta di questo “apprendistato spontaneo” che il bambino compie, sia la consapevolezza del suo valore nella vita adulta dell’artigiano: “perché il laboratorio ce l’abbiamo avuto sempre a casa (…) da piccolino, voi mi insegnate, appena che cominci a camminare a piedi (…) vai a frugare e cosa frughi”? La manipolazione degli oggetti comincia sin dalla prima infanzia e se non viene inibita da un sistema educativo che vincola l’individuo imponendogli dei limiti piuttosto che assecondarne l’indole creativa, dura, in forme diverse, tutto il tempo della vita dell’uomo. Un’educazione che tenga conto della “necessità creativa” dell’uomo dovrà educare il suo sguardo sul mondo. Quando l’occhio, affinato da un processo di apprendimento in continua crescita, si troverà davanti ad un’opera d’arte o ad un oggetto di artigianato li guarderà con la stessa intensità con cui farebbe un bambino i cui sensi siano stati istruiti da un buon “apprendistato” che passa attraverso il ritmo, del gioco, delle ninne nanne e delle fiabe, attraverso cui egli cresce e diventa adulto.
Marta Gabriel
[1] Montessori M., Educazione alla libertà, (a cura di M. Luisa Leccese Pinna), Roma-Bari, Editori Laterza, 1999, pp. 68-81.
[2] Ingold T., Ecologia della cultura, Roma, Meltemi, 2004.
[3] Focillon H., Elogio della mano, Universidad Nacional Autònoma de México, México, 2006.
[4] Angioni G., Fare, dire, pensare in AngioniG., Da Re G., Pratiche e saperi. Saggi di antropologia, Cagliari, CUEC, 2003, p. 36.
[5] Emiliani A., L’artigianato, i suoi modelli culturali, la città storica in AA.VV., La salvaguardia delle città storiche in europa e nell’area mediterranea, Bologna, Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, 1983.
[6] Pinto Minerva F., L’arte per reinventare il mondo in AA.VV., Arte e creatività. Le fiabe e i giochi di Maria Lai, Franca Pinto Minerva Maria Vinella, Cagliari, A.D. Arte Duchamp, 2007, pp. 15-23.
Nessun commento:
Posta un commento