Prendendo un caffè in un bar ho trovato, poggiato su un angolo del bancone, un volantino molto interessante sul carnevale sardo che si intitola semplicemente “Carrasegare” e pubblicizza le «mascaras de su connottu», le maschere tradizionali sarde. Carnevale, si sa, è tempo di maschere, specialmente in Sardegna, ma che io mi ricordi non sono mai state tante come quest’anno. Il volantino in questione, curato dalla Regione Sardegna e in particolare dall’Assessorato al Turismo, presenta infatti ben 31 paesi con corrispettive maschere:
1. AIDOMAGGIORE – Mascara a lentzolu
2. ARITZO – Urtzu, Mamutzones
3. AUSTIS – Urtzu, Colonganos
4. CUGLIERI – Cotzulados
5. FONNI – Urthos, Buttudos
6. GADONI – Maimoni, Stramaioni, Grastula
7. GAVOI – Tumbarinos
8. GHILARZA – Maschera a lentzolu, Burrones
9. LACONI – Corongiaiu
10. LODÈ – Mascaras nettas, Mascaras bruttas
11. LODINE – Sas Umpanzias
12. LULA – Battiledhu
13. MAMOIADA – Mamuthones, Issohadores
14. NEONELI – Farrapoddine, Corriolos, Maschera ‘e cuaddu
15. OLLOLAI – Bumbones, Turcos, Maria Vressada, Maria Ishoppa, Mama ‘e su Sole
16. OLZAI – Intintos, Maimones, Murronarzos
17. ONIFERI – Maimone, Biudas
18. ORANI – Bundu
19. ORISTANO – Componidori
20. OROSEI – Maimones
21. OROTELLI – Thurpos, Erittaju
22. ORTUERI – Urtzu, Sonaggios
23. OTTANA – Boes, Merdules, Filonzana
24. PAULILATINO – Corrajos
25. SAMUGHEO – Mamutzones, Urzu
26. SARULE – Maschera a gattu, Maimone
27. SEDILO – Filonzana
28. SESTU – Mustayonis, Orcu Foresu
29. SINNAI – Cerbus
30. ULA TIRSO – Urtzu, Bardianos
31. ULASSAI – Maimulu
Una rapida consultazione di siti internet dedicati all’argomento ha permesso di aggiungere una ulteriore maschera non compresa nel programma regionale:
32. PADRU – Mascadores
Un totale quindi di 32 paesi con (ben) 57 maschere. Dire che siamo in presenza di una vera e propria esplosione di revivalismo folklorico sarebbe un eufemismo, anche considerando che sino a qualche anno fa gli unici centri interessati dal fenomeno erano Mamoiada, Ottana e Orotelli.
Qualche riflessione è quindi opportuno farla…
La prima cosa che viene in mente è bollare tutta l’iniziativa come operazione commerciale a fini turistici e inserirla in un discorso che va avanti pressoché ininterrotto da secoli e che propone la Sardegna come la più prossima delle terre esotiche, come «una terra romanticamente misteriosa e accattivante da conoscere e da studiare»[1]. Un modo di proporsi che, come ieri è servito ad attirare una parte dell’elite europea alla ricerca di mete alternative al canonico grand tour, oggi attrae nell’isola una fetta rilevante del turismo culturale internazionale.
L’iniziativa regionale “Cassaregare” si somma quindi ad altre analoghe quali “Ischinziddas dae su coro”, sui fuochi di S. Antonio, e “Ritos de sa Chida Santa”, riguardante la Settimana Santa, nel progetto “Isola che danza”, il cui obiettivo è:
«sviluppare un processo di promozione dell’immagine unitaria della Sardegna durante il periodo di bassa stagione (autunno-inverno-primavera) attraverso la qualificazione sistemica e coordinata di manifestazioni consolidate aventi contenuti fortemente identitari e tradizionali a livello locale, attualmente promosse in modo disaggregato nel territorio della Sardegna»[2].
I concetti chiave sono, in sostanza due: destagionalizzare il flusso di turisti e coordinare le manifestazioni locali. Il tutto promuovendo un’immagine “unitaria” della Sardegna attraverso “contenuti fortemente identitari e tradizionali”.
Questa vera e propria dichiarazione d’intenti porta necessariamente ad un secondo livello di riflessione. Analizzare il moltiplicarsi di queste iniziative esclusivamente dal punto di vista economico significherebbe guardare solo un lato della medaglia. Se è indiscutibile che certe iniziative vengano realizzate per attirare turisti è anche vero che rispondono ad esigenze di altra natura, culturale e simbolica, che hanno comportato in questi ultimi anni un sostanziale ribaltamento dei significati connessi al concetto di “arcaico”. Fino a qualche anno fa il termine era usato per indicare qualcosa di antiquato, di sostanzialmente inadeguato alle sfide che la modernità imponeva; oggi diventa elemento essenziale della presunta autenticità conservata dalla Sardegna.
La “globalizzazione”, è fatto ormai ampiamente studiato e documentato, comporta tendenze omologanti sul modello culturale occidentale contro le quali ci si difende cercando rifugio in pratiche e saperi a torto o a ragione etichettati come “tradizionali”. L’universo culturale legato all’economia pastorale si propone quindi come l’unico sufficientemente coerente da permettere la creazione di un vero e proprio nuovo paradigma identitario. Le maschere del carnevale non sono quindi altro che una tessera di un mosaico che sempre più sta diventando l’unico modo possibile di presentarsi e di rappresentarsi: in maniera paradossale, nel tentativo di sfuggire ad un processo di omologazione ci si espone ad un altro.
Adeguarsi al paradigma pastoralistico comporta, se necessario, realizzare delle forzature: se la realtà non collima con l’immagine con cui ci si vuole presentare la si adegua sino alla perfetta corrispondenza. Hobsbawm e Ranger (2002) hanno utilizzato a riguardo l’espressione molto forte di “invenzione della tradizione”. A scanso di equivoci voglio precisare che non è mia intenzione dare giudizi di valore nè è intenzione di queste poche righe analizzare approfonditamente un processo tanto complesso. L’assenza di ricerche “indipendenti” che permettano di valutare i metodi utilizzati per la ricostruzione di maschere la cui memoria si era persa impone una doverosa cautela. Almeno formalmente si è innocenti sino a prova contraria…
È innegabile che questa arcaicità così orgogliosamente esibita esista perché soddisfa i desideri di molti: dei sardi, dei turisti e diciamocelo, tutto sommato anche degli antropologi, che possono registrare l’ennesima prova di vitalità di una cultura popolare troppo spesso data per spacciata.
Alessandro Pisano
Bibliografia
Bandinu B., 2006, Pastoralismo in Sardegna. Cultura e identità di un popolo, Milano, Zonza
Baumann Z., 2003, Intervista sull’identità, Roma – Bari, Laterza
Hobsbawm E. – Ranger T., 2002, (a cura di), L’invenzione della tradizione, Torino, Einaudi (ed. or. The invention of tradition, Cambridge, 1983)
Remotti F., 1996, Contro l’identità, Roma – Bari, Laterza
Remotti F., 2010, L’ossessione identitaria, Roma – Bari, Laterza
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