Il 24 giugno di ogni anno viene celebrata ad Olbia, come in altre parti della Sardegna, ma più in generale dell’Europa, una festa in onore di San Giovanni Battista.
La data del 24 giugno (solstizio d’estate) non è casuale, ma risponde a precise dinamiche calendariali e rituali. Pur essendo parte integrante e ormai consolidata del calendario liturgico cattolico, San Giovanni affonda le sue radici in celebrazioni precristiane, assorbite in qualche modo dalla Chiesa, anche se non totalmente: vedremo di dare spiegazione della sua collocazione calendariale, degli elementi purificatori (acqua e fuoco) e della pratica del comparatico. In seguito esamineremo, invece, le modificazioni avvenute per quanto riguarda Olbia.
Olbia, doveva avere, prima degli anni ’20 del novecento, un’economia di tipo agrario (Casalis, 1850, pag. 834; Valéry, 1837, pag. 37) e, solo successivamente, ha sfruttato il mare con l’arrivo dei pescatori ponzesi e tarantini (Rodriguez, 1996). Non è superfluo specificarlo, dal momento che la festa di San Giovanni è una delle principali cesure all’interno del calendario rituale contadino. Come sostiene Vittorio Lanternari, esiste una continuità tra Natale e San Giovanni, in primo luogo perché si collocano in due periodi dell’anno cruciali per la crescita del seminato e, in secondo luogo, dal momento che anche storicamente, in periodo romano, venivano celebrate due importanti feste: Fors Fortuna il 24 giugno, e Sol Invictus il 25 dicembre. Come è facile notare, queste due feste ricalcano precisamente Natale e San Giovanni dal momento che
Il solstizio estivo segna, col suo decrescere, una fine: la fine del Vecchio Testamento rappresentato da Giovanni: il solstizio d’inverno, che inizia la fase crescente del sole, segna una nascita: la nascita del Nuovo Testamento e dell’Era di Cristo. In questo modo il complesso mitico-rituale di S. Giovanni e il complesso mitico-rituale del Cristo si condizionano e fondono in un ciclo unico, quale meglio non poteva essere trovato per adattarsi al complesso solare e agrario. Ma le due feste hanno anche un altro punto in comune: e propriamente nella notte, a S. Giovanni e a Natale, che s’accentua la sacralità (Lanternari, 1967, pag. 330).
L’origine precristiana e agraria di questa festa è chiara, com’è chiara anche la volontà della Chiesa – soprattutto nei primi tempi, ma non solo – di eliminare le «superstiziose pratiche» collegate ad essa; per esempio Sant’Agostino afferma: «Natali Johannis, de sollemnitate superstitiosa pagana, Christiani ad mare veniebant et se baptizabant» (Ivi, pag. 332) che si può tradurre: «il giorno di San Giovanni, con superstiziosa solennità pagana, i cristiani andavano a battezzarsi al mare».
Compare dunque l’acqua, elemento, insieme al fuoco, caratterizzante in maniera decisa questa festa. Infatti l’acqua, come il fuoco, sono elementi storicamente associati alla purificazione, da intendersi come purificazione rituale che scarichi tutto ciò che di negativo si è accumulato durante l’anno per cominciare le nuove attività agricole in una situazione di purità (Petrarca, 1990, pag. 104). Sono note in letteratura antropologica diverse pratiche di questo tipo (cfr Frazer, 1950; Rivera, 1988; Buttitta, 2002; Grimaldi, 2002; per Olbia cfr De Rosa, 1899; Moretti, 1992). Tra le altre cose, la notte di San Giovanni, veniva considerata particolarmente magica e propizia per diversi tipi di vaticinii:
la notte di San Giovanni è considerata dai contadini un momento particolare, in cui avvengono grandi prodigi. Essi ritengono infatti che la rugiada, la rusà ’d San Giuvàn, che si forma in questa notte abbia proprietà benefiche. Per tale motivo alcuni vanno verso l’alba a raccogliere la camomilla che, bagnata dalla particolare rugiada, assume specifiche virtù terapeutiche; altri espongono il fiore della camomilla già raccolto (Grimaldi, 2002, pag. 206).
Mentre al mattino,
Alle prime luci dell’alba inoltre i Terranovesi accorrevano numerosi in riva al mare per assistere al sorgere del sole pro idere su sole ballende. Attendevano inginocchiati e silenziosi e dai riflessi dei primi raggi sulla superficie del mare, gli uomini traevano il pronostico sull’annata agraria e le donne quello sul matrimonio (Moretti, 1992, pag. 93).
Proprio in virtù del suo essere liminare (cfr Van Gennep, 2009), ponendosi, cioè alla fine di un periodo (quello della crescita del grano) e all’inizio di un altro (la mietitura), questa festa era fondamentale all’interno di un orizzonte socio-culturale di tipo agropastorale (cfr Buttitta, 2006), così come l’uso rituale dell’acqua e del fuoco come elemento purificatore.
Un’altra pratica importante relativa a San Giovanni era il comparatico: «sociologicamente parlando, come istituzione il comparaggio [o comparatico] assume una notevole varietà di forme e svolge un’ampia gamma di funzioni» (Seymour-Smith, 1991, pag. 96), tra cui quella di creare, attraverso il rituale del salto del fuoco in coppia, un legame sociale estremamente forte. Il “compare di San Giovanni”, risulta avere la stessa valenza di un compare di matrimonio o di battesimo, come sostenuto da diversi nostri informatori intervistati i varie occasioni. Da un punto di vista pratico De Rosa ci informa su tre diverse modalità per stringere su comparìu:
col fazzoletto, colla corona e col fuoco. Si fanno compari di fazzoletto prendendo una pezzuola bianca (simbolo della purità dei sentimenti e del casto legame che si vuole stringere), della quale ciascuno annoda una delle cocche, scambiandola con colui che gli sta di fronte: le cocche vengono annodate, ricambiate e snodate per tre volte consecutive e per tre volte ognuno annoda e snoda quella che gli è rimasta in mano, complimentandosi poi, seconda la diversa condizione dei compari, a vicenda colle parole: A molti anni; Dio vi dia pace e salute. Si fanno compari di corona, stringendosi a vicenda la destra mano, tenendo fra esse una corona, pronunziando, mentre se le stringono, i versi seguenti: comare e compare, / sa fide mi poltades, / sa fide mi poltei, / Santu Gjuanne e Dei, / Dei e Santu Gjuanne, / comare e compare, / sa fide non m'ingannes. (comare e compare, / la fede mi portate, / la fede mi porterete, / San Giovanni e Dio, / Dio e San Giovanni, / comare e compare, / la fede non tradire) (De Rosa, 1899, pagg. 175-176).
La festa di San Giovanni, dunque, appare fortemente caratterizzata da una serie di elementi rituali precristiani che la Chiesa ufficiale non è riuscita a sradicare, ma che – come spesso è accaduto nella storia – ha semplicemente accostato alla liturgia ortodossa;
Per Olbia le notizie bibliografiche di più antica data reperite fin’ora ce le fornisce De Rosa (1899) nel suo Tradizioni popolari di Gallura; in seguito si occupò della festa anche Moretti (1992) con Olbia: testimonianze di vita. La ricerca sul campo da me condotta nel 2009 e nel 2010 ha rivelato tutta una serie di fenomeni che si sono modificati. Basti pensare all’interruzione della festa avvenuta intorno agli anni ’50 del novecento, per poi essere ripristinata nel 1984 o 1985 da un gruppo di fedeli, ed essere accorpata alla festa della Madonna del Mare, un tempo divise.
Un altro aspetto di rilievo scomparso è l’uso dell’acqua, non rilevato nella ricerca, a differenza del fuoco che ancora viene acceso con una particolare erba detta in olbiese brundella; in merito a questo aspetto è però interessante notare come, prima della sospensione della festa, il fuoco fosse acceso non sul lungomare come oggi, ma nel quartiere di Sa rughe, come raccontatoci dai nostri informatori. Ancora, prima della sospensione, pare non fosse uso cucinare il pesce nelle grandi padelle come oggi. In merito a questo, si può affermare che anche il far pagare il pesce, da due anni a questa parte, è una modificazione rilevante, dovuta ad una difficoltà nella questua, la tradizionale raccolta di denaro per organizzare la festa, cui in pochi oggi contribuiscono, per una disaffezione e misconoscenza della festa; inoltre lo scarso (o nullo) aiuto finanziario fornito dal Comune costringe all’autotassazione da parte dei membri del comitato organizzatore.
Per ultimo sono mutate anche le dinamiche relative alla pratica del comparatico:
coloro che avevano deciso di farsi compari o comari si accordavano qualche giorno prima scambiandosi un nastro e si ritrovavano davanti ad uno dei grandi falò. […] Il primo salto veniva fatto da soli, si compiva in tal modo individualmente il primo atto purificatorio. Si formavano quindi le coppie. Uno dei due faceva il nodo ad un fazzoletto che passava all’altro perché lo sciogliesse e lo rifacesse ancora. Così per tre volte e per altrettante volte saltavano il fuoco tenendosi uniti col fazzoletto mentre ripetevano le parole rituali[1] (Moretti, 1992, pag. 93).
Da quanto rilevato nelle ricerche del 2009 e 2010, la rigida ritualità riportata dalla Moretti, non è stata assolutamente rilevata. Non sono più presenti né l’uso del fazzoletto, né delle parole rituali ripetute durante il salto.
Il ripristino della festa di San Giovanni non è quindi avvenuto seguendo rigidamente le pratiche, dinamiche e modalità del passato; è avvenuta, invece, una rifunzionalizzazione (cfr Bravo, 1984) che ha cercato di adattare la festa a quelle che sono le dinamiche della contemporaneità.
[1] La Moretti riporta una diversa formula rispetto a De Rosa: «Comare e compare / sa fide mi poltades / sa fide mi poltedi / Santu Juanne ’e Deu / sa fide non m’ingannedi / fin’a s’ora ’e sa molte (Comare e compare / la fede mi portate / la fede mi porterete / San Giovanni di Dio / la fede non m’ingannate / fino all'ora della morte» (Moretti, 1992, pag. 93).
BIBLIOGRAFIA
Bravo, G. L., 1984, Festa contadina e società complessa, Franco Angeli, Milano.
Buttitta, I. E., 2002a, Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali, Sellerio, Palermo.
Buttitta, I. E., 2006, I morti e il grano, Meltemi, Roma.
Casalis, G., 1850, Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Maspero-Marzorati, Torino, Vol. XX, voce Terranova.
De Rosa, F., 1899, Tradizioni popolari di Gallura. Usi e costumi, Arnaldo Fiori Editore, S.L.
Frazer, J. G., 1922, The Golden Bough. A Study in Magic and Religion, London, MacMillan; trad. it. 1973, Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione, 2 voll., Boringhieri, Torino.
Grimaldi, P., 1993, Il calendario rituale contadino. Il tempo della festa e del lavoro fra tradizione e complessità sociale, Franco Angeli, ed. 2002, Milano.
Lanternari, V., 1967, Occidente e terzo mondo, Dedalo, Bari.
Moretti, P., 1992, Olbia: testimonianze di vita, Stampacolor, Sassari.
Petrarca, V., 1990, Le tentazioni e altri saggi di antropologia, Borla, Roma.
Rodriguez, G., 1996, “La mitilicoltura ad Olbia” in Tognotti, E. (a cura), Da Olbìa ad Olbia. 2500 anni di storia di una città mediterranea, EDES, Sassari .
Seymour-Smith, C., 1991, Dizionario di Antropologia, Sansoni, Firenze.
Valéry, 1837, Voyages en Corse, a l'île d'Elbe, en Sardaigne, Tome Second, Librairie de L. Bourgeois-Maze, Paris; trad. it. 1996, Viaggio in Sardegna, Ilisso, Nuoro.
Van Gennep, A., 1909, Les rites de passage, Nourry, Paris; trad. it. 2009, I riti di passaggio, Boringhieri, Torino.
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