martedì 29 marzo 2011

Sant'Antonio ad Olbia. Fra nascita di una tradizione e autocelebrazione identitaria


Il 16 gennaio 2011, in un quartiere di Olbia, Isticadeddu, si è celebrata per la prima volta la festa di Sant'Antonio, l'organizzazione della quale si è dovuta ad una comunità di immigrati provenienti dal Goceano in un arco cronologico che va dai primi anni '70 del novecento in poi.
Per quanto riguarda la struttura formale della festa, si possono distinguere diversi piani: al centro dello spiazzo il falò, preparato dagli uomini il giorno prima, con legna donata da privati e trasportata su camion di proprietà dei membri del comitato o prestati da amici (note di campo); poi un lungo bancone diviso per "generi", da una parte del quale stavano le donne che si occupavano di distribuire i dolci tipici di Sant'Antonio (senza distinzione da paese a paese, ma sempre sottolineando il fatto che fossero tipici del Goceano), mentre dall'altra gli uomini si occupavano del vino. La musica non era dal vivo (ad eccezione del coro di Loiri che ha partecipato alla messa celebrata del vescovo), ma veniva mandata da due casse, sostanzialmente riproducendo la musica "tipica" sarda. Prima dell'accensione il falò è stato benedetto dal vescovo, e poi acceso su tre lati dall'immigrato goceanino di più antica data, di nome Antonio. Interessante appare la disposizione del pubblico che, in seguito a brevi sonde, più era vicino al bancone dei dolci e del vino e più aveva legami con gli organizzatori od era organizzatore egli stesso, e viceversa.
L'interesse di questo evento, in ogni caso, risiede nella a) possibilità / eventualità della nascita di una tradizione, b) così come della creazione o affermazione di una appartenenza e, conseguentemente della sua autocelebrazione identitaria; c) questo avviene attraverso la festa e, in particolare, il fuoco di Sant'Antonio come simbolo identitario e legame, cemento, di individui provenienti da una stessa zona, ma da paesi diversi. Sia la festa che il falò di Sant'Antonio d) vengono rifunzionalizzati, svuotati totalmente o parzialmente del proprio significato tradizionale, nonché tradotti da un contesto a un altro.
a) Appare chiaro come un evento di questo tipo possa reiterarsi nel tempo, ri-presentandosi a scadenza regolare nei prossimi anni, modificarsi e stabilizzarsi fino a diventare parte integrante del paesaggio culturale della comunità goceanina o della città di Olbia. È in questo senso che si parla di possibilità / eventualità della nascita di una tradizione, «problema questo che va affrontato non solo alla luce degli elementi culturali in quanto tali ma anche in quella del processo storico» (Seymour-Smith, 1991, p. 411) della comunità che si sta studiando.
b) La comunità di cui si parla è, evidentemente, legata in primo luogo da vicinanza geografica e culturale, nonché dalle contingenze storico-sociali dovute all'abitare ad Olbia; un passo successivo di questo studio potrà concentrarsi  sul sentimento identitario che potrebbe già esistere fra questi individui, circa l'essere goceanini ad Olbia, e sulle "modalità" di questa autopercezione, o che potrebbe palesarsi nel caso l'evento, da occasione unica, diventi norma sociale. Ad una primissima, e parziale, analisi dovuta all'osservazione sul campo, emerge comunque una «comunità che si celebra [...] per quello che è, o per la percezione che ha di se stessa» (Giallombardo, 1990, p. 14), in cui l'appartenenza ad un medesimo orizzonte culturale, viene sottolineata dalla festa, che si pone come spazio di determinazione e autodeterminazione e «tende a costituire, o a ricostruire, una comunità del noi, nella quale i diversi protagonisti di una società rafforzano i loro vincoli e riaffermano la propria identità culturale» (Lombardi Satriani, 1997, p. 27).
   c) Il falò, dunque, viene a costituire in questa situazione particolare il locus fisico e ideale, diventa l'elemento simbolico attorno, e grazie a cui, si ha la determinazione e l'autodeterminazione della comunità. Questa comunità si ri-costruisce in altro luogo attraverso un simbolo comune ai diversi paesi di provenienza degli individui, e sembra potersi porre – in questo inizio, in questo «illo tempore» che può diventare mitico – come «fuoco nuovo [che] rafforza e rinvigorisce l'energia vitale, rinnova» la società (Buttitta, 2002, p. 63).
   d) Il falò assume funzioni diverse, quindi, dal contesto di provenienza al luogo di arrivo, se non a livello formale almeno in quello sostanziale. La risematizzazione sia festiva, che del simbolo stesso della festa, il falò, si rivela come necessaria per la comunità che si struttura, si crea, tramite il simbolo.

Domenico Branca

Bibliografia

Ariño, A., Lombardi Satriani, L. M., (a cura di) 1997, L'utopia di Dioniso. Festa tra tradizione e modernità, Meltemi, Roma.
Buttitta, I. E., 2002, Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali, Sellerio, Palermo.
Giallombardo, F., 1990, Questua, orgia e società, Flaccovio, Palermo.
Seymour-Smith, C., 1986, Dictionary of Anthropology, MacMillian; trad. it., 1991, Dizionario di Antropologia, Sansoni, Firenze.

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