domenica 20 marzo 2011

Sassari e il suo orso


Pochi giorni fa ho scritto un post in cui elencavo le maschere sarde a cui si attribuisce (o si auto attribuiscono) la qualifica di tradizionale. Non sapevo né mi aspettavo che anche nella mia città, proprio sotto i miei occhi, si stessero manifestando le stesse dinamiche.
Certo gli indizi c’erano… 
La ricostruzione nel 2002 del costume di Sassari e la conseguente formazione di un gruppo folcloristico, il tentativo di organizzare i festeggiamenti in onore di San Nicola, patrono ufficiale della città, e altre piccole cose indicavano già una tendenza ben precisa: quella, come ho scritto nel post precedente, di adeguarsi al paradigma identitario pastoralistico.
Nella fattispecie la maschera in questione è denominata “l’Ussu”, l’orso.
Per quanto riguarda il nome risalta subito l’assonanza con maschere di recente reintroduzione in altri centri della Sardegna: s’Urtzu di Aritzo, Austis, Ortueri, Samugheo e Ula Tirso, s’Urthu di Fonni. È evidente che, aldilà della differente grafia, si tratta della stessa denominazione.
Resterebbe da spiegare l’utilizzo simbolico di un animale, l’orso, completamente assente dalla fauna sarda almeno sino al Medioevo a quanto sostenne Francesco Cetti (2000: 73) e a quanto si desume da Delussu (2000) e da Vigne (1988). 
Foto tratta dal manifesto pubblicitario
 La veste comunque non ha nulla dell’orso. Come si vede dalla foto e dal video il costume consiste in una pelle di cinghiale utilizzata come copricapo e mantello, un gilet realizzato con una pelle presumibilmente di pecora o di capra ed infine una catena legata al collo del figurante. La trasformazione in animale è completata dall’annerimento del volto.
Il richiamo a certe maschere barbaricine è evidente in molti aspetti: la veste, pur con meno elementi “arcaicizzanti” (l’Ussu indossa dei comunissimi jeans e nella foto anche un berretto da baseball) riporta immediatamente alle maschere (tra le altre) di Ottana; il fatto che la catena che pende da collo dell’Ussu diventi un guinzaglio tenuto da un’altra maschera, armata di un bastone che usa per percuotere l’Ussu, può rimandare a certe rappresentazioni messe in scena da altre maschere (ancora una volta Ottana); anche l’annerimento del viso è comune ad altre realtà (vedi Orotelli).
L’unica cosa che non trova paragoni è il movimento (video), che però non sembra avere nulla di arcaico ma asseconda il ritmo imposto dalla banda. Il repertorio sembra abbastanza standardizzato, proponendo sia musiche sassaresi, come le melodie delle gobbule, sia arrangiamenti di canzoni popolari italiane (nel video si riconosce la canzone Nannì di Franco Silvestri)
La Nuova Sardegna del giorno dopo la sfilata sassarese così descrive la maschera:

«Secondo la tradizione l'animale rappresenterebbe una sorta di uomo selvaggio, collegato ad un filone di matta bestialità agreste. E' lui l'attore principale della sfilata, da sempre deputato ad aprire la manifestazione. Aggressivo, spavaldo, si è aggirato per le strade circondato da altre figure animalesche che lo hanno frustato e sbeffeggiato (Pinna 2011)».

Ben lontano da qualsiasi pretesa di completezza ho provato a fare qualche indagine.
Ho prima di tutto chiesto a mio padre, che dalla nascita sino al secondo dopoguerra ha vissuto nel centro storico in via Lamarmora (i miei nonni gestivano in quella via una taverna) ma non ricorda una rappresentazione scenica così ben definita e strutturata.
Ho consultato alcune classiche fonti scritte senza ottenere nulla. Angius (2006) e La Marmora (1971), pur dedicando qualche riga al carnevale non accennano a questa maschera.
Il poeta Salvator Ruju non ne parla ma segnala una cosa molto interessante: in una sua poesia, parte del volume Sassari veccia e noba (La firugnana) descrive una maschera del tutto simile all’omonima Filonzana ottanese. La maschera sembra legata all’inventiva di una singola persona piuttosto che codificata come quella barbaricina. Sarebbe comunque di sicuro interesse approfondire la conoscenza su questa (almeno per me) inaspettata similitudine.
Ritornando all’Ussu, forzando un po’ la mano si potrebbe trovare qualcosa in Sassari di Enrico Costa. L’opera dà ampio spazio alla descrizione del Carnevale sassarese e in alcuni passi sembra descrivere qualcosa di simile a quanto proposto oggigiorno dal gremio dei Macellai:

«Infine anche gli straccioni facevano la loro mascherata, gli uni coperti di pelli lanose, con le corna in testa e il campanaccio al collo, per imitare i buoi, e gli altri che li seguivano col pungolo e la corda in mano, imitanti i pastori ed i bifolchi» (Costa 1971: 174).
Pupazzi realizzati da Tavolara

Nonostante l’Ussu non presenti né corna né campanaccio e che quindi il travestimento descritto da Costa non si riferisca all’Ussu, è chiaro che qualche somiglianza la si può trovare nell’utilizzare abiti di pelli e nel rapporto conflittuale tra le due maschere: l’animale viene continuamente picchiato dal suo custode-padrone.-aguzzino, a simboleggiare la totale sottomissione della bestia all’uomo.
Un’altra importante raffigurazione del carnevale sassarese è stata realizzata nel 1937 da Eugenio Tavolara (Altea 2005: 58). Nel gruppo di pupazzi, denominato “Mascherata sassarese”, pur essendoci figure coperte da pelli non sembra spiccare una vera e propria maschera, perlomeno non simile all’Ussu odierno. Sembrano più travestimenti improvvisati, estemporanei, come del resto tutti gli altri rappresentati nel gruppo di pupazzi.

A questo punto bisogna tirare le somme…
Le possibilità sono diverse.
La prima è che la tradizione è stata inventata di sana pianta. Non sarebbe la prima volta che si rivestono di arcaicità, e quindi implicitamente di autenticità, pratiche molto recenti. Uno degli esempi più noti è quello del kilt scozzese che noi siamo abituati a pensare come da sempre indumento degli highlander e che invece è stato introdotto nel 1700 (Trevor-Roper 2002).
Un’altra possibilità è che siano esistiti travestimenti simili ma che fossero estemporanei e non organizzati in una vera e propria rappresentazione, con tanto di indumento, movimenti e ruolo sociale definito (vedi Costa).
La terza è che abbiano ragione i Macellai e che quindi l’Ussu sia la maschera del carnevale sassarese. Ma da quando? Quando è nata? Contro le tendenze omologanti della modernità l’esigenza di sentirsi unici e irripetibili viene a volte soddisfatta sacrificando il rigore storico. Spesso si dice che una cosa esiste “da sempre”, quasi sempre senza una minima prova di quanto si afferma, attribuendo al passato remoto pratiche la cui nascita si colloca in zone d’ombra della memoria popolare. Sarebbe molto interessante approfondire con i rappresentanti del gremio l’argomento e dare uno sguardo agli archivi della corporazione in cui si potrebbero trovare inedite informazioni (si, se per caso qualche gremiante leggesse queste righe mi sto proponendo…).
Una cosa è certa…
L’anno prossimo sicuramente non mancherò.

 Alessandro Pisano

Bibliografia

Altea G., 2005, Eugenio Tavolara, Nuoro, Ilisso
Angius V., 2006, “Sassari”, in Città e villaggi della Sardegna dell’Ottocento. 3, Nuoro, Ilisso (ed. or. Casalis G., Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino, 1849)
Cetti F., 2000, “I quadrupedi in Sardegna”, in Storia naturale di Sardegna, Nuoro, Ilisso (ed. or. Sassari, 1774)
Costa E., 1977, Sassari. Cronistoria dalle origini al 1884. 6, Sassari, Gallizzi (ed. or. 1937)
Delussu F. 2000, “Lo stato attuale degli studi sulle faune oloceniche della Sardegna centro-settentrionale”, in Atti del secondo convegno di archeozoologia, Forlì, Abaco edizioni
La Marmora A., 1971, Itinerario dell’isola di Sardegna. 2, Cagliari, 3T (ed. or. Itinéraire de l’Ile de Sardeigne, pour faire suite au Voyage en cette contrée, Torino, 1860)
Pinna D. 2011, “Il Carnevale dei Macellai fa il pieno al centro storico”, in La Nuova Sardegna, 6 marzo
Ruju S., 2001, Sassari véccia e nòba, Nuoro, Ilisso (ed. or. 1957)
Trevor-Roper H., 2002, “La tradizione delle Highland in Scozia”, in L’invenzione della tradizione, a cura di Hobsbawm E. – Ranger T., Torino, Einaudi (ed. or. The invention of tradition, Cambridge, 1983)
Vigne J-D., 1988, Les mammiféres post-glaciaires de Corse, Parigi, Editions du Centre national de recherche scientifique

1 commento:

  1. « Quando hai eliminato l'impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, deve essere la verità. »
    (Sherlock Holmes - Il segno dei quattro)

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