giovedì 21 aprile 2011

Globalizzazione, xenofobia, identità locale. Il crocefisso e l'Italia.

Ispirata dall’antropologia interpretativa di Clifford Geertz (1926-2006), vorrei analizzare un caso specifico e cercarvi un significato più ampio per comprendere meglio la particolarità del fenomeno. Mi riferisco ad un tema molto attuale: la controversia sollevata in Italia dalla presenza del crocefisso nei luoghi pubblici, chi in difesa della tradizione cattolica italiana, chi in difesa della multietnicità e della libertà religiosa.

Le considerazioni sociologiche e antropologiche che potremmo elaborare sono numerose, ma mi soffermo su un unico elemento: quello specifico del crocefisso come simbolo identitario della tradizione cattolica e quindi, quasi per osmosi, della stessa cultura italiana. Sorvolando sull’ambiguità del concetto d’identità, analizzerei invece il fatto che, evidentemente, non si fa riferimento unicamente al principio religioso. Perché si parla d’identità italiana e non, semmai, unicamente di identità cristiano-cattolica?

L’Italia è uno dei maggiori bacini d’accoglienza dell’immigrazione straniera, in particolare dell’Europa orientale, del nord Africa (soprattutto Marocco) e del continente asiatico. Seppur i gli stranieri cristiani sono i più numerosi, aumenta la presenza di fedeli di altre religioni, in maggioranza musulmani. Di fronte alla globalizzazione e ad uno delle sue conseguenze più evidenti (l’immigrazione appunto), gli Stati nazionali sentono la necessità di conferire a oggetti specifici un particolare valore simbolico con lo scopo di veicolare l’idea di comunità nazionale[1]. Per riportare le parole di Marc Augé (1935): «Oggi non si tratta più di “edificare” degli individui, di istruirli e di costruirli affinché si identifichino progressivamente con l’ideale cristiano e morale condiviso, ma piuttosto di identificare delle collettività, di radicarle nella storia, di sostenere e rafforzare la loro immagine, di mitizzarle affinché degli individui a loro volta possono identificarvisi, a cominciare dagli stranieri»[2].

In conclusione, potrebbe essere questa, dunque, una possibile interpretazione del fatto esaminato: se di fronte alla temuta forza omologante della globalizzazione e alla paura dell’altro, si tende ad affermare la propria località ostentandola, se - come sosteneva Emile Durkheim (1858-1917) - la religione rappresenta la società stessa, i simboli religiosi sono proiezioni del gruppo e la società nel venerare il simbolo religioso venera sé stessa e consolida la propria identità collettiva[3], la diatriba sul crocifisso parrebbe una lotta simbolica, giocata con il significato che l’oggetto (il simbolo cristiano) veicola.


Elisa Biosa


Bibliografia.

M. Augé (1994), Storie del presente. Per una antropologia dei mondi contemporanei, ed. it., Il Saggiatore, Milano, 1997.
U. Bonanate, Antropologia e religione, Loescher Editore, Torino, 1975. 
J. Friedman a cura di F. La Cecla e P. Zanini, La quotidianità del sistema globale, Bruno Mondadori editore, Milano, 2005.
U. Hannerz, La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Il Mulino, Bologna, 1998.
F. Lai, C. Bilotta a cura di G. Mondardini Morelli, La produzione della località. Saperi, pratiche e politiche del territorio, CUEC, Cagliari, 2005.
F. Lai, La creatività sociale, Carocci editore, Roma, 2006. 
N. Martino, Antropologia culturale, Antonio Vallardi Editore, Milano, 2006.
A. Signorelli, Migrazioni e incontri etnografici, Sellerio editore, Palermo, 2006.


[1] F. Lai, C. Bilotta 2005, p. 116.
[2] M. Augé 1997, p. 96
[3] U. Bonanate 1975, pp. 29-34.

14 commenti:

  1. Vorrei fare anche io alcune considerazioni in merito alla pronucia della "grand chambre" sulla questione della presenza del crocifisso in italia nei luoghi pubblici: sulla controversia sollevata dalla signora di origine finlandese "lautzi"(probabilmente dimentica del simbolo cristiano presente sulla bandiera finlandese...) occorre fare alcune precisazioni, l'Italia nel ricorso contro la sentenza di primo grado che di fatto vietava l'esposizione nelle scuole pubbliche non era da sola poichè altri stati europei hanno preso parte alla controversia a favore del simbolo cristiano, in particolare Armenia, Bulgaria, Lituania, Romania e Federazione russa...e altri fra cui Monaco Malta Polonia e Austria e altri ancora..secondo voi come mai sono tanti gli stati ex unione sovietica..proprio quegli stati che hanno subito l'ateismo di stato imposto dal regime... perchè hanno partecipato direttamente a favore del simbolo nei luoghi pubblici? come mai la classe politica di questi paesi ha deciso di entrare come parte attiva in questa controversia a favore della croce?...cosa unica nella storia della corte per i diritti dell'uomo (che non ha a che fare con l'unione europea)...marco

    RispondiElimina
  2. Innanzitutto grazie per il commento... questo non è un blog di verità assolute ma di stimolo alla discussione, per cui ben vengano stimoli come questo...
    Riguardo alle domande che poni ti faccio notare che è ormai del tutto fuorviante pensare agli stati come a dei gruppi di persone omogenei per cultura, lingua e religione. senza bisogno di tirare in ballo le migrazioni internazionali la composizione delle nostre società è molto più variegata di quanto non si pensi.. e il fatto che nella bandiera della Finlandia ci siano simboli religiosi non ha impedito alla signora Lautsi di portare avanti una battaglia sulla laicità... è come se, dato che la bandiera spagnola presenta i simboli della casa regnante, fosse impossibile essere repubblicano (e ti assicuro che in Spagna ce ne sono tantissimi...). quindi identità "nazionale" (ammesso che esista..) non necessariamente coincide con le identità individuali..
    idem per le repubbliche ex sovietiche... evidentemente all'ateismo di stato non corrispondeva l'ateismo dei cittadini.. è proprio sul tema della religione (pensa a Solidarnosc e Wojtyla) che si è data la spallata finale al socialismo reale..
    quella che può essere una spiegazione di tutto questo (e che mi pare abbastanza convincente) la trovi nella parte finale del post di Elisa quando dice "di fronte alla temuta forza omologante della globalizzazione e alla paura dell’altro, si tende ad affermare la propria località ostentandola". crocifisso compreso..

    RispondiElimina
  3. ciao, la mia non è polemica, volevo semplicemente far notare come quegli stati che hanno subito l'ateismo hanno fatto opposizione alla sentenza e altri stati come la Spagna tradizionalmente piu vicina all'italia dal punto di vista religioso non abbia aderito tutto qui...concordo con alessandro per Solidarnosc e Wojtyla..

    RispondiElimina
  4. Mi unisco ad Alessandro nel ringraziarla per il suo commento: il dibattito critico è sempre altamente stimolante. Le sue domande mi offrono la possibilità d'indagare altri aspetti.

    Già dalle mie prime righe ho cercato di essere chiara ponendo come obiettivo quello di fornire una possibile interpretazione antropologica su un tema tanto attuale che fa discutere fortemente il nostro Paese. Non ho espresso, personalmente, un giudizio a favore o contro tale sentenza, ma ne ho cercato le possibili motivazioni, come è evidente nella parte conclusiva del mio intervento.

    Questo mi preme precisare: tra laico e ateo vi è una sostanziale differenza. Laico si dice di ciò che non ha a che fare con questioni religiose; ateo si dice di chi nega l’esistenza di un Dio. Evidentemente le due posizioni sono diverse. La laicità dello Stato è una scelta di libertà: ognuno può professare liberamente il proprio credo. Come dice lei, gli Stati dell’ex Unione Sovietica hanno subìto l’ateismo imposto dal regime. ‘Laicità’ e ‘libertà’ non hanno niente a che fare con ‘subìto’ e ‘imposto’. Credo che, evidentemente, anche nel contesto delle repubbliche ex sovietiche, il crocefisso venga investito di altri valori che vanno oltre il significato religioso (si veda, appunto, Wojtyla e la sua lotta contro il regime comunista).

    La spinta è comunque, a mio parere, quella di cercare una forma di coesione all’interno di una società complessa.

    RispondiElimina
  5. bisogna anche mettere in luce come la sentenza di primo grado della corte non abbia tenuto conto del pricipio di "SUSSIDIARIETA'" sancito dalla convenzione per i diritti dell'uomo, principio recepito successivamente dall'unione europea, il quale stabilisce come le scelte politiche debbano essere prese dal livello di governo piu' vicino ai cittadini, principio infatti richiamato dalla sentenza definitiva di appello strabilendo come la scelta, nello specifico crocifisso, spetti agli stati e non imposta con sentenza dall'alto. Un altro esempio ultimo riguarda l'Ugheria dove è stata aprovata una nuova costituzione che entretrà in vigore il primo gennaio 2012 dove si fa riferimento a dIO e al cristianesimo come valori unificanti della nazione tradizionale..marco

    RispondiElimina
  6. Mah... l'Ungheria è un caso molto particolare e se vogliamo un po' controcorrente di questi tempi... ed infatti proprio il progetto di costituzione presentto da Fidesz sta suscitando molti dibattiti non solo in Ungheria.. la riforma costituzionale che dici si inserisce in un quadro molto più ampio, che passa per disciminazioni ai rom e limitazioni alla libertà di stampa.. al contrario di molti paesi che cercano di dare risposte più aperte alla questione della multiculturalità e multiconfessionalità l'Ungheria si chiude nel Dio, patria e famiglia...
    Ogni stato fa le sue scelte ma è anche vero che una discussione ad un livello più ampio potrebbe solo essere utile...

    RispondiElimina
  7. certo...l'ungheria è un caso citato da me poichè è l'ultimo in ordine cronologico, la costituzione verrà firmata il 25 aprile 2011 martedì prossimo,per entrare in vigore a gennaio. per quanto riguarda l'ultima tua parte" discussione a livello piu' ampio" si ricollega al principio di sussidiarietà secondo cui le scelte competono al livello di governo piu' vicino ai cittadini e solo quando è neccessario garantire una disciplina unitaria quindi piu' ampia del singolo stato o regione la scelta compete o deve competere a un organo diciamo piu' alto che garantisca una unitarietà nella scelte che non riguardano solo un singolo stato o territorio, e potrebbe essere il caso della corte per i diritti dell'uomo le cui pronuce creano precedenti vincolanti per gli stati aderenti alla convenzione garantendo una disciplina unitaria quindi piu' "ampia"..mi accorgo però che è molto tecnico il discorso...marco

    RispondiElimina
  8. però accanto (e forse a monte) di un pronunciamento della corte deve esserci un momento di elaborazione comune... non credo che ai vari stati interessi mettersi in discussione sotto questi aspetti e il caso italiano lo dimostra.. anzichè cercare di ragionare sul profondo cambiamento che sta avvenendo si alzano gli scudi a difesa di un simbolo che pretendono unisca tutti.. unificando con molta non chalance cultura e religione...
    altri stati danno altre risposte alle stesse questioni, sicuramente non perfette e in via di riforma (vedi recenti dichiarazioni di Camerone Merkel sui modelli britannico e tedesco) ma almeno "esistenti".. in Italia si rifiuta di prendere atto che la società sta cambiando..
    e allora forse una riflessione a livello internazionale può servire a chiarire luci e ombre dei modelli di integrazione applicati e (magari) a elaborarne di nuovi migliori.. e se c'è una pratica condivisa le norme arriveranno...
    Oh.. e comunque grazie per questo interessante dibattito!

    RispondiElimina
  9. l'interpretazione della locuzione "ubi ius ibi societas"(o viceversa) non è mai stato così attuale...marco

    RispondiElimina
  10. "Ubi societas ibi ius" o per dirla tutta "Ubi homo, ibi societas. Ubi societas, ibi ius. Ergo ubi homo, ibi ius". Mi accodo al ragionamento di Alessandro riprendendo alcuni ragionamenti che avevo fatto nel mio post sulla laicità dello Stato. Non pretendo di parlare di Diritto, non ne sarei capace e non ne ho le competenze. Credo però di poter esprimere comunque un parere su come uno Stato che si dica civile e democratico debba prendere una posizione rispetto a temi delicati quali il rispetto di chi crede e chi non. Viviamo in un mondo sempre più globalizzato, e subiamo sempre più gli influssi culturali che ci arrivano da ogni punto della terra, che modificano il nostro modo di mangiare, pensare, credere, agire, interagire. In un mondo così variegato è necessario dare ascolto a pensieri, culture e stili di vita apparentemente (ma anche effettivamente) diversi tra loro. In un paese come il nostro, affacciato sul Mediterraneo, luogo di scambi, incontri e scontri, dovremmo iniziare a pensare che non esistono solo i cattolici, ma anche gli atei, i musulmani, i buddisti, i valdesi etc. E non è pensabile che le leggi tutelino solo una parte del paese e gli altri niente. Personalmente partirei dal cambiare l'articolo 29 della Costituzione Italiana che dice al primo comma: La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Questo principio esclude di fatto chi convive, le coppie omosessuali, i divorziati, i separati e così via. Non si riesce ad adeguare la Legge alla società che cambia, discriminando nuovi fattori e elementi sociali che ne fanno parte. Pagano le tasse, consumano, e lavorano o sono disoccupati come tutti gli altri "naturali". E così è per i membri che fanno parte di altri credi. Se si escludono con queste misure quelle persone, la nostra non si può considerare una società libera e giusta.

    RispondiElimina
  11. ciao valentina,nei miei commenti ti sarai accorta che ho una preparazione giuridica, e ho quindi cercato di semplificare al massimo argomenti molto tecnici,anche nel linguaggio, per i quali ci vuole una preparazione giuridico_politica, il mio riferimento alla opposizione fatta dalla classe politica attuale degli stati ex unione sovietica aderendo al ricorso presentato dall'italia, non ha niente di politico era una semplice constatazione e non un sollevare differenze fra i regimi comunisti e nazifascisti...ovvio che io non posso parlare di antropologia o sociologia ma ero interessato all'argomento sentenza crocifisso, che ha ripercussioni non solo antropologiche...concordo pienamente sulla società che cambia e sopratutto sul fatto che la nostra politica non si fà carico delle esigenze della nuova società e dei nuovi italiani...anche l'art. 29 della costituzione potrebbe essere adattato alle nuove esigenze "sociali", quell'articolo riflette l'idea portata avanti a suo tempo nell'assemblea costituente dalla democrazia cristiana, facendosi carico della ideologia di una parte della società italiana di allora, non è un caso che la nostra costituzione sia chiamata "compromissoria" ovvero un compromesso politico fra le diverse idee di società portate avanti dai partiti vincitori della lotta anti fascista, se la società cambia e opportuno e ovvio l'adattamento anche giuridico...

    RispondiElimina
  12. Guarda che la mia non voleva essere una critica ai tuoi commenti. Anzi! Credo che dovrò mettermi seriamente a studiare un po' di Diritto dato che le leggi fanno parte delle culture e le culture sono il principale oggetto di studio dell'Antropologia. E ben vengano le discussioni interdisciplinari...non sopporto il monolitismo accademico! E comunque il confronto tra comunismo e nazifascismo è una constatazione alla quale non potevo rinunciare dato che si parlava di Italia e hai fatto la domanda sui paesi dell'Est. Era una riflessione solo su questo. Comunque sono molto felice del dibattito che si è creato!

    RispondiElimina
  13. lo so che non era una critica, era giusto per spiegare il mio intervento non certo antropologico, poi è innegabile che mussolini o hitler del cristianesimo avessero poco...

    RispondiElimina