martedì 5 aprile 2011

La giovinetta, lo spirito, il fico: una favola (reale) di possessione

Agosto inoltrato. Tre del pomeriggio. Conversazione informale con un'informatrice di 85 anni, portati benissimo. Col tono della nonna che ti racconta la favola della buonanotte inizia a raccontare:
"Mio padre mi raccontava sempre un episodio che gli era capitato.
Chicca era in campagna... babbo stava lì. Facciamo subito i conti... Chicca era del '4, aveva diciotto anni quando le è successa questa cosa, quattro, quattordici, ventidue... è così? Se non erro...
Sotto un albero di fico, questa Chicca ha cominciato a dire queste cose nè pensate nè viste... Ma sembrava che non le volessero credere. Il fratello stava domando una puledra [...] E allora, per domare la puledra, aveva riempito una sacca piena di pietre. Va lei, la solleva, la porta giù dalle scale. "E com'è possibile?" si chiede quello "non ce la faccio io a..." E basta, solleva questa sacca e tutti si meravigliano che ha cominciato a fare queste cose.
Una notte erano coricati e Chicca dice al fratello: «Eh, tu già sei coricato, vai alla fontana che ci trovi delle pecore morte». I fratelli salgono e questa cosa era vera, ha iniziato così, Chicca, a… a die queste cose.
«Tottò» dice il fratello a mio padre «Chicca si comporta in modo strano, portiamola in paese a curarla». Babbo la siede in groppa al cavallo, era forte babbo, era uno degli uomini in paese tra i più forti, prova ne sia il fatto che lo chiamavano “Mazza di ferro”. Se la siede in groppa, arriva ad un certo punto della strada, e niente da fare. Non riusciva a portarla in paese. Sai come ci sono riusciti? L’hanno dovuta legare come un fascio di legna.
Arrivano a casa, e chiamano il dottore. Il dottore la guarda e dice: «Non è malattia che possono curare i dottori. Cercate, che non è malattia che possiamo curare noi”. Quando è entrato, infatti, aveva staccato il marmo del comodino e glielo aveva lanciato contro!
In poche parole, non era in sé. Ed hanno cercato gente, gente che poteva, gente di coraggio.
E il prete diceva a questi uomini forti che lo aiutavano: «State attenti, intervenite quando serve, ma state da parte”. Così quell’uomo leggeva le preghiere, gli scendeva il sudore dalla fronte, mentre le leggeva, e faceva domande [rivolgendosi allo spirito, n.d.r.] «Ma si può sapere perché sei venuto qui?»
«Perché qui sto bene»
«Ma dove l’hai trovata?»
«Sotto un albero di fico»
Chicca si siede, mette una gamba sopra l’altra, faceva il suono della chitarra e cantava. Con una voce che era una melodia. Perché quello che aveva incorporato era un grande cantadore. E poi ha raccontato come era morto. Era la notte della festa della Madonna di Seunis. Quando gli uomini erano ubriachi, andavano ad orinare.. sono scesi sull’orlo della roccia. Non si sa come sono andate le cose, girandosi, oppure per sbaglio… un uomo l’ha gettato giù. E lo spirito ha detto nome e stirpe dell’uomo che l’ha gettato giù.
«Se sei solo caduto, perché…»
«Perché son caduto sull’orlo della roccia e girandomi per alzarmi» ha detto «ho bestemmiato»
Allora il prete ha tentato di convincere lo spirito, che doveva passare alcuni anni errando, ad uscire dal corpo di Chicca. Alla fine lo spirito ha detto: «Va bene, me ne vado, ma almeno una tegola dal tetto butto giù, e non riuscirete più a camminare dritti» E nessuno dei presenti è più riuscito a camminare normalmente.
E babbo mi faceva sempre questo racconto, della fatica che aveva preso quell’uomo, il sacerdote… e delle cose che rispondeva lei… Lei non era lei che parlava, era lui… Che l’aveva aspettata nell’albero del fico… Perché quella pianta attira il… non so… come funzioni…
E lei, Chicca, dopo non si ricordava di nulla. Ma lo spirito ha detto, ha raccontato la sua storia, persino il nome e cognome di chi per sbaglio l’aveva gettato dalla rupe… lui si era condannato, perché nel tentativo di rialzarsi, aveva bestemmiato…

La narrazione da me raccolta possiede molti degli elementi della narrativa popolare: la protagonista della vicenda compie imprese straordinarie, i personaggi sono dipinti con tratti vivi e caratteristici, a volte persino epici (è il caso del padre dell’informatrice, dotato di un vero e proprio nome di battaglia, “Mazza di ferro”). La ragazza assume il ruolo di un’eroina il cui aiutante magico (lo spirito) le permette di compiere imprese straordinarie, la dota del dono della preveggenza, di una forza sovraumana e di un incredibile talento musicale. Allo stesso modo, ogni personaggio della storia (i fratelli, il medico, il sacerdote) assume un ruolo ben definito e contribuisce alla lieta conclusione della vicenda. Il fatto stesso che la storia venga presentata come la narrazione di una narrazione (“Mio padre mi raccontava sempre”) confermano questa impressione.
Eppure, sarebbe un errore ricondurre completamente la narrazione all’ambito favolistico. I nomi dei luoghi e delle persone vengono citati con dovizia di particolari e possono essere facilmente riscontrati. Nella mente dell’informatrice l’accaduto è realtà, exemplum di qualcosa che non solo ha avuto luogo, ma potrebbe persino facilmente ripetersi. Ciò che viene raccontato è un episodio reale, trasfigurato dal sincero tentativo dell’informatrice di trovare una mediazione tra ciò che ella pensava essere realmente accaduto e ciò che invece io avrei potuto accettare come fatto reale, realmente accaduto e realmente verificabile.
Alla luce di queste considerazioni, analizzare la storia della giovane Chicca come un vero e proprio caso di possessione si presentava assolutamente interessante. Identificata negli studi antropologici come “l’idea che spiriti di defunti, eroi, divinità animali e non meglio definite forze sovraumane possano impossessarsi di determinati individui per parlare ed agire da parte di essi” la possessione “può venire identificata con le sue funzioni religiose, sociali, politiche, psicoterapeutiche, comunicative, estetiche” [PENNACINI C., 2001]

Sarebbe dunque utile domandarsi quali siano cause e modalità che hanno determinato la situazione di possessione. All’atto dell’esorcismo lo spirito si presenta con dovizia di particolari e narra la storia del proprio decesso: durante un’occasione di allegria egli sarebbe stato spinto involontariamente da un amico giù da una rupe, e la bestemmia da lui proferita nell'atto del cadere
Con queste parole lo spirito tende a ripristinare le vere cause oggettive della propria morte: in questo modo la possessione mira a ristabilire l’equilibrio della verità in qualche modo venuto a mancare. Per bocca della ragazza non parla solo lo spirito, ma la verità di un fatto accaduto e da tutti taciuto. Ciò che di questa narrazione colpisce l’antropologo non è la necessità di scoprire se la possessione abbia avuto luogo o meno, quanto il meccanismo sociale sotteso al racconto.
Con la sua possessione la ragazza non solo svela una verità scomoda, un tragico incidente di cui viene fatto il nome del colpevole, ma, in accordo a quella che I.M. Lewis definisce “epidemiologia della possessione”, ci permette anche di stabilire quale fosse l’orizzonte sociale in cui la posseduta si trovava a vivere.
La vicenda raccontata dallo spirito per bocca della ragazza, che condanna la propria anima alla dannazione bestemmiando in punto di morte, “è un esempio sociale, raccontato e recitato davanti al suo pubblico da un attore sofferente”. [GALLINI 1977]
Inoltre, lo status di posse permette di poter esprimere, senza tema di censura sociale, atteggiamenti e comportamenti oltremodo censurabili: nel suo stato di possessione la giovane ragazza compie atti ed esprime attitudini che nella normalità del quotidiano non le sarebbero stati ammessi: compie lavori manuali come e meglio degli uomini, si esprime in un linguaggio scurrile, è persino violenta. Una serie di libertà che, a livello sociale, non può padroneggiare in quanto donna.
A livello popolare, tuttavia, le ragioni dell’avvenuta possessione vengono rintracciate nel fatto che la giovane sia sostata sotto un albero di fico, che sembrerebbe esser connotato come la dimora dello spirito. Senza voler troppo entrare in dettagliati studi simbologici, ci si limita a considerare il fatto che il ruolo “metamorfosante del vegetale è in molti casi quello di prolungare o suggerire il prolungamento della vita umana” [DURAND 1972]. Ancor di più l’albero del fico viene popolarmente considerato come albero-tramite, in grado di poter “attirare”, per usare le parole dell’informatrice, e incorporare gli spiriti.
Un’altra informatrice, interrogata a proposito della vicenda, si esprime negli stessi termini: “Chicca è andata a mezzogiorno sotto un albero di fico, si è alzata una folata di vento, lei ha avuto paura e l’anima è entrata dentro di lei. Tutti dicevano che gli alberi del fico sono sempre tentati da anime o da diavoli che stanno lì e dicono pure che le ore più propizie per vedere queste anime e questi spiriti siano mezzogiorno e mezzanotte.” La simbologia del fico, in quanto pianta lattifera, in grado di produrre un frutto che, giunto a maturazione, rimanda visivamente alla carne umana, è ampiamente studiata e documentata (tra tutti, si veda DURAND 1972)
Una fiaba, spesso, non è solo una fiaba. A volte i “frammenti indigesti” del magico, di quel mondo che a torto si pensa sia stato dimenticato, emergono con una propria forza, pronti ad essere svelati e compresi, a chiunque ne abbia l’interesse.

BREVE BIBLIOGRAFIA INDICATIVA:
- GALLINI C., Tradizioni sarde e miti d’oggi. Dinamiche culturali e scontri di classe, Sassari: Edes, 1977
- DE MARTINO E., Sud e magia, Milano: Feltrinelli 1996 [6°]
- DURAND G., Le strutture antropologiche dell’immaginario, Bari: Dedalo, 1972
- LEWIS I.M., Possessione, stregoneria, sciamanismo; Napoli: Liguori, 1993
- PENNACINI C., Introduzione a La possessione, Antropologia I, Meltemi: Roma 2001


Gianna Saba

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