martedì 15 gennaio 2013

Gabriella Mondardini intervista Pasquale Polese: un incontro all’insegna del ‘garbo’

Il 27 ottobre 2012 presso la Sala del Museo del Porto l’associazione Asso.Ve.La. e la Cooperativa Turris Bisleonis hanno organizzato un evento di notevole importanza per gli studi di “cultura del mare”: “Gabriella Mondardini intervista Pasquale Polese. I Saperi e le Astuzie che hanno creato le barche…e non solo”. [1]
Il segretario dell’Associazione, Lorenzo Nuvoli, presenta con queste parole, l’incontro, sul sito dell’Associazione di Vela Latina di Porto Torres: [2]

Chi lavora con le mani è un operaio;
Chi lavora con le mani e con la testa è un artigiano;
Chi lavora con le mani, con la testa e con il cuore è un artista.
Pasqualino Polese è sicuramente un artista perche le sue creature sono vere e proprie opere d'arte che hanno permesso, ai fortunati proprietari, di lavorare in mare con sicurezza e di produrre profitti quando l'economia di Porto Torres era fondata sulla pesca e il suo porto era efficiente e funzionale.
Tante storie di mare di barche e di vita verranno messe in luce dall'antropologa Gabriella Mondardini che sabato 27 ottobre 2012, alle ore 17.30, nella sala del Museo del Porto, intervisterà Pasqualino Polese.
A 25 anni dal loro ultimo incontro e alla soglia degli 80 anni Pasqualino Polese ci racconterà della sua vena artistica che, oltre alle barche in legno, lo ha portato a realizzare moltissimi altri oggetti in legno e non solo come ad esempio chitarre funzionanti di 20 cm., trottole da 10 mm. e per finire il coltello a serramanico più piccolo del mondo di soli 4 mm.
Una occasione unica per immergerci nella storia e nella cultura del nostro paese. [...]

L’incontro si è svolto nel Museo del Porto, noto in passato come “La Piccola”, è un-ex deposito della ferrovia costruito nei primi anni del ‘900, destinato a stivare merce non deperibile che viaggiava con la “piccola velocità”, a differenza della merce deperibile che viaggiava con la “grande velocità” e veniva inviata direttamente alla Stazione Ferroviaria. [3]
La stazione passeggeri si trova a 500 metri di distanza, come accadeva nel 1872, anno della nascita delle ferrovie in Sardegna, quando i depositi erano staccati dalle stazioni destinate ad accogliere i viaggiatori.
Il museo è stato realizzato dopo due anni di restauro e l’allestimento si avvale di video, immagini, oggetti [4] e installazioni che possano testimoniare le vicende relative a Porto Torres dai primi anni del ‘900 alla successiva fase di cambiamento innescata dal processo di industrializzazione.
In mezzo alla stanza si trova un plastico di Porto Torres che presenta da un lato la situazione della città agli inizi del XX secolo e dall’altro le conseguenze del processo di industrializzazione iniziato negli anni ‘60.
Dell’intervista si riportano alcuni passaggi che rendano testimonianza dell’incontro tra Gabriella Mondardini Morelli [5] e Pasquale Polese [6] a distanza di anni, e della ricchezza di contenuti che si è prodotta in questa occasione.
Il dialogo, a cui sono ripetutamente invitati a partecipare anche i presenti, inizia in tono ironico, con le parole di Gabriella Mondardini: “Ormai i nostri incontri si sono ripetuti da lunga data e finalmente ci hanno messo a tutti e due nel museo”!

Le ricerche nel campo della Cultura marinara di Gabriella Mondardini Morelli sono iniziate negli anni ‘85-‘86 nell’ambito del Compartimento marittimo di Porto Torres (che allora comprendeva Bosa, Alghero, Stintino, Porto Torres, Castelsardo, Isola Rossa).
Le ragioni che muovevano la ricercatrice, secondo quanto afferma lei stessa, riguardavano la vita dei pescatori e dunque il rapporto tra la barca e i pescatori e tra questi e il maestro d’ascia. Le interviste al Maestro Polese erano finalizzate alla raccolta di informazioni destinate a soddisfare tali obiettivi di ricerca. L’interesse per la costruzione delle imbarcazioni si è manifestato in una fase successiva, durante la quale è stata acquisita la consapevolezza dell’importanza del lavoro del maestro d’ascia “in sé”, dal momento che si tratta di un sapere molto importante, “che è bene conservare e conoscere”.[7]
Nel discorso introduttivo all’intervista viene fatto riferimento alla definizione di ‘Cultura marinara’ e per giungere ad una sua spiegazione la professoressa Mondardini inizia col definire l’uomo come ‘essere terricolo’ che per accedere all’ambiente marino, che non è il suo ‘luogo naturale’, deve usare ‘l’astuzia’ ed inventare dei mezzi che lo sostengano nella sua impresa. Egli può infatti nuotare fino ad un certo punto ma poi ha bisogno di qualcosa a cui appoggiarsi. Le barche sono dunque i testimoni della cultura marinara e ci riconducono a due contesti differenti, uno di terra e uno di mare dal momento che si fa riferimento alla capacità di costruzione delle barche e a quella di navigazione.
Gli antichi greci usavano la parola ‘metis’ per fare riferimento all’astuzia di vedere le cose nel loro insieme e nei dettagli. Anche il maestro d’ascia che si dedica al suo lavoro di costruzione deve possedere questo ‘colpo d’occhio’ come il capitano quando si trova in una condizione di pericolo deve poter valutare con consapevolezza le scelte da fare.
Nel proseguo dell’incontro la professoressa Mondardini ha rivolto una serie di domande al suo interlocutore che ripercorrono tutte le fasi di ricerca svolte fino a questo momento ma si arricchiscono anche di ulteriori considerazioni che sono state elaborate in una fase successiva a quella della ricerca sul campo e anche a quella delle monografie dedicate all’argomento. L’intervista che si è svolta nel Museo del Porto rappresenta anch’essa un ulteriore momento di approfondimento e dunque fa parte di quello stesso processo di costruzione del sapere che è iniziato nella metà degli anni Ottanta del Novecento e continua anche oggi.
La famiglia Polese è di origine napoletana, i primi immigrati sono giunti da Torre del Greco ad Alghero nel 1830 e il nonno di Pasqualino Polese, Pasquale, si è poi trasferito a Porto Torres insieme ai due figli maschi per aprire un cantiere navale anche in questa città di mare.
L’esperienza di Pasquale Polese nel cantiere navale della sua famiglia inizia a otto, nove anni ma allora poteva solo “dare gli accessori a mio padre: ascia, martello, chiodi, un po’ di tutto”.[8]
Per acquisire la patente di carpentiere l’allievo doveva svolgere un periodo di apprendistato lungo almeno dieci anni che si concludeva con il rilascio della patente di carpentiere da parte del maestro d’ascia: “Almeno una decina d’anni per essere un bravo carpentiere, un bravo costruttore, per conoscere i segreti, conoscere la barca”.[9]
Il legname impiegato per la costruzione delle barche era preferibilmente quello delle querce, poiché i tronchi sono curvi e assecondano l’andamento della struttura della barca.

Si andava ad acquistare la legna, per esempio, a Gavoi e a Tonara, dove si tagliavano anche le traversine per i binari della ferrovia, e i rapporti con i segantini erano molto buoni, la legna si pagava comunque a peso d’oro ma non era raro che giungessero da Porto Torres cassette di pesce per gli ‘spuntini’ con cui si festeggiava la buona riuscita del commercio.
La costruzione della barca avveniva poi nel cantiere navale in un’atmosfera di sacralità così come accadeva al momento del varo, quando la ‘creatura’ veniva messa in acqua [10] alla presenza del padrino e della madrina “di battesimo” e si celebravano dei rituali come a scongiurare il pericolo di oltrepassare i limiti concessi all’uomo sulla terra che andando per mare “frequenta un luogo che la natura non consentirebbe”.[11]
La studiosa riporta le parole del maestro Polese il quale affermava che la barca “ha una faccia, ha una pancia e quasi si riproduce il corpo umano, la persona” [12] proprio come si direbbe di un essere vivente, in un processo di antropomorfizzazione che crea tra il costruttore e l’imbarcazione un rapporto particolare, quasi paterno, nel quale l’abilità dell’artigiano viene esaltata nel momento in cui il prodotto del suo lavoro, un insieme di estetica e funzionalità, affronta il mare sotto la guida sapiente del pescatore.
Un altro aspetto relativo alla vita delle barche riguarda la loro tipologia:

Se la barca quale testimone della cultura del mare rimanda, come s’è detto, ad un insieme di relazioni, la prima fra queste è l’interazione fra pescatori e costruttori: (…). La forma e lo stile rispettano ovviamente le esigenze e i gusti dei pescatori, ma la proprietà dei materiali usati, l’efficacia delle qualità nautiche e l’estetica complessiva, sono il segno della pratica tecnica, dell’abilità e della genialità artistica del costruttore. (…) Così in Sardegna entro la categoria generale dei gozzi, pescatori e maestri d’ascia forniscono un’affinata classificazione tipologica con riferimento locale: la barca tabarchina a Carloforte, la spagnoletta ad Alghero, la guzzetta a Stintino, la filuga a Porto Torres, la maddalenina all’isola della Maddalena e così via. (Mondardini 1997: 189).

Le barche costruite dai Polese “sono originali perché si sono adattate a quest’ambiente, alle necessità di questo ambiente e quindi in tutto il Mediterraneo le barche fatte a mano, le barche antiche, di legno, sono creature uniche proprio perché, intanto, c’è la mano del costruttore e poi c’è anche questa necessità di adattarsi all’ambiente particolare”.[13]
Il Maestro Polese fa riferimento ad una esperienza personale e aggiunge che “Prima le barche erano tutti gozzi, sia nella Liguria, in Sardegna, nella Toscana. poi la spagnoletta, chiamata  spagnoletta, era una barca spagnola. mio padre, era un grande operaio,  aveva … gli era venuta sotto mano una fotografia spagnola, una spagnoletta e ha fatto la spagnoletta, (…) le ordinate che affiancano la chiglia hanno una certa sagoma per avere più pescaggio e per tenere anche il vento, il mare”.[14]
Ma le differenze tra un tipo di barca e l’altro non sono solo tecniche, si parla di ‘bellezza’ di una barca e  “la bellezza della barca è dovuta al maestro d’ascia”.[15]
Il guadagno non sembra essere dunque il fine principale del maestro d’ascia che viene in qualche modo ‘ripagato’ dalla riuscita della sua opera: “La bellezza, e questa è una cosa importante. Il senso estetico, avere anche la soddisfazione a fare la barca non soltanto per i soldi che prendeva ma anche la soddisfazione di mostrare che sapeva fare la barca bella insomma”. [16]
A questo punto [17] è necessario fare riferimento ad uno dei punti centrali dell’intervista che riguarda il ‘garbo’. [18]Si tratta di “una sorta di regolo che, a partire dalla ordinata centrale consente di costruire tutte le altre” (Mondardini 1997: 191).

Nel cantiere di porto Torres il sistema di costruzione delle barche con l’uso del trabocchetto è rappresentato come eredità familiare, di origine torrese ma con un’accentuazione delle capacità personali del costruttore. Il modello sembra dare una traccia generale, ma è l’abilità personale del maestro, che, come vedremo, dà forma, stile, e bellezza (Ivi: 196).

È qualcosa con cui la studiosa si è confrontata a più riprese, fin dal 1986, ma i suoi interessi, essendosi evoluti e modificati in corso d’opera, hanno affrontato le tematiche relative all’aspetto tecnico della costruzione delle barche solo in un secondo momento della ricerca mentre inizialmente si sono rivolti allo studio degli aspetti ‘sociali’ delle comunità dei pescatori:[19]

L’appropriazione materiale del pescato, tramite la pesca comune, utilizza sistemi di cattura piuttosto semplici, con barche di piccole dimensioni, è un numero di pezzi di rete proporzionale al personale imbarcato; l’organizzazione del lavoro, avviene generalmente all’interno del nucleo familiare, dando vita ad una forma di cooperazione che non va al di là del gruppo di parentela o di comparatico. All’interno di questi gruppi la stratificazione sociale è definita generalmente per classi di età, infatti ai pescatori adulti e anziani viene riconosciuta l’autorità proprio perché detentori di tutta una serie di conoscenze relative alle tecniche di produzione da cui deriva la loro funzione di direzione e di controllo (capo-barca, capo-pesca e capitano generalmente coincidono) nel processo produttivo e degli utili della pesca ai produttori .di redistribuzione

Nel 1986 chiedeva dunque al maestro Polese di spiegarle come si faceva il progetto per la costruzione di una barca e questi le rispondeva che da molti anni non faceva più il disegno della barca prima di costruirla e che si trattava di un ‘segreto’ che veniva trasmesso di generazione in generazione. Le parole di Polese non destarono allora l’interesse dell’antropologa che si interessò in seguito all’argomento e gli dedicò uno studio approfondito.[20]
Nel 1990 Gabriella Mondardini si occupò di una rivista monografica sulla cultura del mare (La ricerca folklorica. La cultura del mare, 1990)  e in fase di preparazione venne in contatto con gli scritti di Franco La Cecla riferiti al ‘mistero’ che circonda le tecniche di trasmissione della progettazione del mezzo garbo che non vengono svelate agli apprendisti a meno che il maestro non abbia intenzione di trasmettergli la professione (La Cecla 1990: 26): “Ed il «mezzo garbo», essendo la chiave della forma degli scafi, è anche il segreto del mestiere. Gli apprendisti difficilmente vengono  iniziati ad usarlo, a meno che il mastro non voglia passare loro il mestiere”.
 L’incontro con questa realtà le diede modo di comprendere quale importanza avesse la trasmissione della tecnica di costruzione delle imbarcazioni nell’instaurazione della relazione tra maestro e apprendista e quale fosse il valore intrinseco alla ‘tecnica’ che divenne l’obiettivo principale della fase di ricerca successiva che, a partire dagli anni ‘90, si è avvalsa non solo delle ricerche presso cantieri sardi e del Mediterraneo ma anche delle fonti storiche.[21]
In quel momento “ho pensato che anche io ero stata trattata come un’apprendista e gli ho detto: «Perché non mi ha parlato del garbo»? «Perché non me l’ha chiesto»! «Ma se io non lo sapevo come facevo a chiederglielo»!
Ciò che è stato appurato da queste ricerche è che nel Nord-Sardegna esistono due metodi di costruzione prevalenti, quelli liguri che usano il modellino da cui si ricava il disegno, “Ma quello è semplice” [22] e quelli campani privilegiano “l’antico uso del garbo”. Nel 1994 è stato anche realizzato un filmato per documentare l’utilizzo del garbo. In quell’occasione “ (…) lui ci ha mostrato che, non solo usa il garbo, questo modello, ma lo costruisce ed è una procedura matematica importante e anche non facile”:[23] “Questo oggetto (…) non è un oggetto qualsiasi perché invece è un concentrato di saperi intorno alle qualità idrodinamiche dell’imbarcazione e serve a dargli forma, a far si che svolga la sua funzione del navigare”. [24]
Secondo La Cecla (La Cecla 1990) la parola ‘garbo’ indica lo strumento, “il risultato di un suo uso «adeguato» e “quello che significa in generale nell’uso comune in italiano, e cioè «l’adeguatezza» di una cosa, di una persona, di un gesto” (La Cecla 1990: 27).[25]
I diversi livelli della parola si conservano ed entrano in relazione nel cantiere del mastro d’ascia:

Per questo la barraca, il cantiere, è un luogo eminentemente aperto dove i commenti degli estranei fanno parte della produzione. (…) Qui, per tutto il tempo, fino al varo e soprattutto dopo, viene mantenuto il carattere interattivo del “garbo” e del “garbare”, come se, al rapporto tra l’elemento legno e l’elemento mare, si aggiungesse il rapporto tra mastro e comunità.

Detto questo, la trasmissione del metodo di costruzione del garbo serba in sé qualcosa di misterioso che il maestro è restio a trasmettere anche al proprio apprendista il valore di questo strumento viene attribuito ad una sfera magica, anche nelle parole dello stesso Pasquale Polese: “chi l’ha inventato sarà stato un mago, (…) lo faceva mio padre, mio padre da mio nonno” (Mondardini 1997: 203-204).
Secondo le parole di Polese nel garbo [26] “c’è la barca intiera” e a partire dal garbo è possibile fare tutte le ordinate della barca. Un altro strumento, legato al trabocchetto, è la tavoletta, “un’asta di legno con tanti segni quante sono le ordinate da costruire” (Mondardini 1997: 197).
Il metodo per ottenere il garbo viene illustrato anche in questa sede, come nelle precedenti interviste realizzate nel corso degli anni (Mondardini 1997: 187-211) come un arcano e si ribadisce che “Chi ha inventato questo trabocchetto non era tanto sprovvisto, era una persona intelligente…perché qualcuno l’ha inventato”.[27]
Il trabocchetto e la tavoletta sono veri e propri strumenti di progettazione caratterizzati dalla presenza di ‘segni’ sulla loro superficie, “i segni sono fondamentali e la tecnica per disporli si fonda secondo il maestro d’ascia su un raggio” (Ivi: 201), “dal cerchio non si sfugge”.[28]
Il simbolo delle barche dei Polese, posto nella prua, “è una sorta di spirale, sembra che sia un simbolo apotropaico significa che tiene lontano il malocchio e il male perché se uno dovesse fare una fattura alla barca dovrebbe srotolare (…) e non ce la fa quindi non riesce a fare il malocchio”.[29]
La famiglia Polese : “Poi bravi carpentieri c’erano anche i miei zii, gli altri cugini di mio padre, bravissimi, non ne hanno fatto mai barche brutte (…)”,[30] famiglia di carpentieri, per generazioni, si è dedicata alla costruzione delle imbarcazioni.
Con queste parole Gabriella Mondardini esprime il proprio pensiero sul rapporto tra etica ed estetica nel lavoro artigiano, che adopera “la mano e l’occhio”: [31]

Secondo me, l’etica del maestro d’ascia, l’etica dell’artigiano del fare bene, cosa che abbiamo dimenticato, l’estetica e l’etica (…) coincidono, l’etica e la moralità, fare bene, fare il bello e farlo bene, questo è quello che io ho sentito da questo lavoro di una vita di artigiano, Secondo me bisognerebbe riproporlo ai giovani e sembra che incominci, in questa situazione di crisi, sembra che si torni probabilmente a questo (…).

Sono parole che possono essere affiancate a quelle con cui Franco La Cecla comincia la sua riflessione sul “cantiere del mastro d’ascia di una comunità siciliana” (La Cecla 1990: 25), un ‘luogo’ dove:

La concezione ed i parametri del “ben fare”, del dare la forma giusta agli scafi, si inseriscono e rammentano un sistema più generale abituato a cercare e a giudicare il verso giusto delle cose. Al contrario di quanto una visione banale della cultura materiale potrebbe fare pensare, è in un luogo dell’attività pratica che troviamo i livelli di distinzione più astratti, i parametri di una estetica a cui la comunità può fare riferimento.




[1] http://www.assovela.eu/index.php?option=com_content&view=frontpage&Itemid=28. (27.11.2012). Le citazioni riportate nel testo sono state da me registrate in occasione dell’incontro tra Gabriella Mondardini e Pasquale Polese presso il Museo del Porto di Porto Torres in data 27.10.2012.
[4] Cfr. Mondardini 1997, Cap. III, pp. 81-106.
Tra questi oggetti è presente il tremaglio o tramaglio, senaio, nella terminologia locale, che fa parte delle reti da posta, le più utilizzate dai pescatori del Compartimento marittimo di Porto Torres. Queste “vengono lasciate  ferme in mare, in attesa che il pesce vada ad impigliarsi e rimanervi prigioniero. Il tremaglio è una rete da posta formata da tre pezze di reti sovrapposte, congiunte in alto sulla lima da sughero e in basso sulla lima dei piombi. Le due pezze esterne sono identiche e a magli molto larghe, mentre quella intermedia ha maglie molto piccole e forma una specie di sacca dove il pesce entrato agevolmente attraverso la prima rete, non riuscirà più a uscire. (…) Il nome tremaglio o tramaglio deriva dal latino tardo tremàculum, cioè rete a tre ordini di maglie; localmente viene invece chiamato senaio per l’insenatura che forma la rete mediana, a maglie fitte e sottili, contro una delle due reti di parete a maglie larghe, quando vi si imbatte il pesce”.
[6] Questa breve biografia di Polese è stata gentilmente concessa dall’associazione Vela Latina di Porto Torres. Pasqualino Polese è storicamente uno dei mastri d’ascia più apprezzati del nord Sardegna. La sua famiglia originaria di Torre del Greco, arrivò in Sardegna, per dedicarsi alla pesca del corallo ad Alghero; iniziarono presto la costruzione dei primi gozzi sul modello di quelli della loro terra d’origine, che modificarono ed adattarono alle esigenze dei pescatori e alle condizioni del mare della nostra Isola. Dal paziente lavoro di quei maestri d’ascia, arrivati oggi alla quinta generazione, nacque un’imbarcazione dalle caratteristiche uniche, immediatamente riconoscibili per la cura dei particolari, ma soprattutto per le linee garbate e l’accuratezza nella rifinitura dei dettagli. Negli ultimi anni la richiesta di gozzi per la pesca è notevolmente diminuita mentre si registra un aumento delle richieste per la costruzione di imbarcazioni a vela latina. e qui riemerge l’esperienza dei Polese che sanno ben valutare le qualità di un opera viva destinata prevalentemente alla vela piuttosto che al motore. Come dice un proverbio: “ad ognuno la propria arte”. Di Pasqualino Polese sono conosciute ed apprezzate le barche che ha costruito ma egli è anche inventore e miniaturista. Mani così grandi sono stati in grado di costruire oggetti tanto piccoli.
[7] G.M., Porto Torres, 2012.
[8] P.P., Porto Torres, 2012.
[9] P.P., Porto Torres, 2012.
[10] P.P., Porto Torres, 2012.
[11] G.M., Porto Torres, 2012.
[12] G.M., Porto Torres, 2012.
[13] G.M., Porto Torres, 2012
[14] P.P., Porto Torres, 2012.
[15] P.P. Porto Torres, 2012.
[16] G.M., Porto Torres, 2012.
[17] Ho tralasciato le questioni relative alla produzione oggettistica da parte del Maestro Polese per concentrare l’attenzione sul rapporto tra il lavoro della Professoressa Mondardini e la costruzione delle barche
[18] Cfr. Mondardini 1997.
[19] Cfr. Mondardini 1981: 140.
[20] Cfr. Mondardini 1997.
[21] Cfr. Mondardini 1991; La Cecla 1990.
[22] P.P., Porto Torres, 2012.
[23] G.M., Porto Torres.
[24] G.M., Porto Torres, 2012.
[25] Per quanto concerne l’etimologia del termine ‘garbo’ Cfr. La Cecla 1990, pp. 27-28.
“(…) Ma è J. Corominas nel suo Diccionário Crítico Etimológico de la Lengua Castillana (Madrid, 1954) che ne delinea la storia più completa. (…) Viene introdotto come italianismo alla fine del XVI sec. È inseparabile per Corominas dal calabrese gàlapu, gàlipu, garbo, destrezza, maestria, e dal genovese medievale galibo e garibo e dal napoletano antico gallipo, tutte forme che; provenienti sia dall’arabo quali qàlib che dal latino calapus e dal greco kάλαπους (da cui proviene la forma araba) – che è però più propriamente «l’orma di una scarpa» -, significano anche il «modello a cui deve aggiustarsi una costruzione di una nave o delle sue parti o di un arco, etc., come figura nelle più antiche tecniche di costruzione navale e in architettura (Vasari, Soderini, Caro)». E Corominas aggiunge «Una volta di più, nel mondo mediterraneo, il buon gusto viene visto come l’adattamento ad una forma, opponendolo all’informe e al deforme, si ricordi la storia del latino “forma” bellezza, e del greco μορφήεις, bello e άμορϕος, brutto» (Corominas, p.677)”. Queste osservazioni, di carattere linguistico vengono completate con le successive parole di La Cecla: “Ed è interessante come nella pratica del mastro d’ascia i vari livelli siano conservati ed interrelati, e come soprattutto lascino vedere una struttura di pensiero estetico sulla realtà e sul rapporto quotidiano d’uso e apprezzamento degli oggetti e delle forme. Qui “forme”, come fa osservare Corominas, sta proprio nel suo senso originario, di qualcosa modellata su qualcos’altro di originario, lo stampo di un modello. Visto che si tratta di scafi, la forma è determinata dalle forze di spinta dell’acqua e della propulsione, il garbo è quello risultante da un “essere orma”, “essere cambiato”, essere avvolto dalla matrice marina. (…)”.
[27] P.P., Porto Torres, 2012.
[28] P.P., Porto Torres, 2012.
[29] G.M., Porto Torres, 2012.
[30] P.P., Porto Torres, 2012.
[31] P.P., Porto Torres, 2012.

BIBLIOGRAFIA

La Cecla F.
1990    “Un certo garbo” in La ricerca folklorica. Contributi allo studio della cultura delle classi popolari. La cultura del mare, Mondardini Morelli G. (a cura di), Brescia, Grafo Edizioni, pp.25-28.
Mondardini G.
1981    Villaggi di pescatori in Sardegna. Disgregazione e rurbanizzazione, Sassari, Iniziative Culturali.
1997    Gente di mare in Sardegna. Antropologia dei saperi dei luoghi e dei corpi, Nuoro, Istituto Superiore Regionale Etnografico.

Marta Gabriel

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