venerdì 6 maggio 2011

Ci saranno le tradizioni di domani?

Questa riflessione prende spunto dal, quanto mai attuale, saggio di Pietro Clemente e Fabio Mugnaini, Oltre il Folklore del 2001.
Nell’introduzione a : “la tradizione di domani”, Mugnaini apporta alcune considerazioni che reputo siano di fondamentale importanza nel panorama attuale degli studi demo-etnoantropologici.
Lo storico che fra cento anni si cimentasse in una ricerca sulle tradizioni popolari italiane del nuovo millennio, scoprirebbe che quelle stesse tradizioni avevano subito modificazioni così radicali da essere quasi irriconoscibili. Viene spontaneo chiedersi le motivazioni di questa “diversità” rispetto al passato.
Occorre allora indagare sulla relazione fra “studioso” e “portatore di tradizione”. E’ ancora possibile fare una distinzione fra i due soggetti? Identità sociali, condizioni economiche, patrimoni culturali, gli stessi orientamenti ideologici si presentano oggi articolati in configurazioni instabili, basate su solidarietà parziali nelle quali lo studioso deve via via orientarsi, interrogandosi sul senso sociale della sua funzione.
Quegli studi che definiamo “demologici” debbono in ogni caso fare i conti con la realtà socio culturale contemporanea trasformandoli in conseguenza, per dirla alla Cirese.
Contrariamente a quanto accade per altre discipline, la produzione saggistica nell’ambito degli studi di folklore è praticamente e costitutivamente al di fuori di ogni possibilità di controllo. Questo in parte è dovuto alla costante, e sempre crescente, domanda di libri sulle tradizioni popolari, e da vita a un continuum nel quale questa pratica della disciplina, un tempo teoricamente e metodologicamente responsabile, sfuma verso altre forme di produzione intellettuale che, se da un lato vanno verso la divulgazione semplificata e spesso la vera e propria contraffazione, dall’altro assumono la portata e il valore propri “della ricerca territoriale”, che risponde a bisogni o strategie di politica culturale localizzati.
Il rinnovamento delle discipline antropologiche ha messo in crisi quei modelli di rappresentazione della società e gli schemi teorici totalizzanti, avviando una revisione dei confini fra scienza e letteratura. Inoltre non si possono non considerare le trasformazioni sul piano sociale e culturale in atto che agiscono anche sulle comunità a cui si riferiva solitamente lo studioso di folklore. I suoi oggetti sono meno riconoscibili, in alcuni casi sfuocati ed in altri ENFATIZZATI (ne sono esempio tutti quei mestieri del passato riproposti nelle feste paesane) e in certi casi ancora vengono inseriti in categorie MERCEOLOGICHE DEL MERCATO CULTURALE. I ceti solitamente considerati portatori di tradizioni si fanno progressivamente marginali e residuali.
Per conoscere e comprendere nella loro dinamicità l’insieme della cultura popolare contemporanea e i suoi singoli generi o prodotti occorre allora estendere l’attenzione dai “testi”, dagli “istituti”, dagli “oggetti” ai processi che li determinano, agli oggetti sociali che ne fanno uso e ai contesti che ne registrano o provocano l’insorgenza e l’adozione.
Rudolf Schenda nel saggio Folklore y cultura de masas affronta uno stereotipo molto diffuso: quello che vorrebbe la cultura popolare e tradizionale legata solo al passato e incompatibile con l’industria culturale di massa e con le attuali condizioni di comunicazione sociale. Ricordiamo che il patrimonio folklorico si è avvalso per secoli del supporto della tecnica, attingendo non solo alle opportunità meccaniche di diffusione e di conservazione ma appoggiandosi anche a quel circuito di diffusione che la stampa era in grado di innescare.

Maria Lucia Mette

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