mercoledì 25 maggio 2011

Di tradizioni e invenzioni...

È da un po' di tempo che mi chiedo come un antropologo si debba porre di fronte all'invenzione di una tradizione. Vivendo in Sardegna, poi, è una situazione che ci troviamo di fronte quasi ogni giorno. Le proteste dei Mamuthones di Mamoiada e del gruppo folk di Gavoi danno segno del problema dei nuovi “falsi”. I primi hanno detto chiaramente basta all'uso indiscriminato del loro nome creando anche un marchio, i secondi hanno rinunciato alla partecipazione della Cavalcata Sarda con motivazioni sia di tipo economico che di tipo culturale: il sindaco si è lamentato del fatto che ogni anno nascono nuovi gruppi senza che vengano fatte ricerche scientifiche serie da parte di chi ha il titolo per farle: etnografi, storici, antropologi, veri studiosi di tradizioni popolari.

Ma è davvero un problema così grave l'invenzione di sana pianta di una tradizione? Forse sì e per vari motivi. Credo innanzitutto che ogni singola comunità abbia le sue potenzialità culturali e quindi non abbia nessun bisogno di inventarsi un abito, una maschera o una festa. In secondo luogo non credo sia rispettoso, né per i turisti tanto meno per gli autoctoni, inventare un qualcosa che non faccia parte del proprio bagaglio culturale, soprattutto se in ballo ci sono motivazioni di tipo economico. Inoltre le ricostruzioni/invenzioni sono poco credibili in termini di tempo delle ricerche e in termini dell'uso di fonti poco attendibili.


L'argomento potrebbe sembrare scomodo e pericoloso ma vorrei lanciare una provocazione. Se si è così sicuri (e di certo sarà così) che nel proprio paese ci sia stata una maschera, perché affidare gli studi a se stessi e a pseudostudiosi creando dei clamorosi falsi, e non invece ingaggiare chi si occupa sudando su libri e facendo ricerche serie? Sappiamo che molte delle maschere create in questi ultimi anni sono state ricostruite sulla base di poesie di Bonaventura Licheri, missionario gesuita di cui è dubbia la data della sua nascita, figuriamoci la proprietà di quegli scritti. Non so se dietro ci siano esigenze di carattere politico come quelle che hanno spinto all'invenzione delle origini celtiche dei padani o esigenze di carattere più culturale che spingono le persone a creare se stesse per la paura di perdersi, o persino esigenze di moda che fanno pensare “Ce l'hanno gli altri quindi devo averla pure io”, o, ancora, tutte e tre le cose insieme. Se poi mettiamo a confronto la questione delle nuove maschere con l'altra invenzione della fine del secolo scorso, ovvero l'accabadora, il problema credo si allarghi.


È vero che ci sarà anche l'altra faccia della medaglia. Le persone che hanno creato queste maschere potrebbero giustificarsi con il fatto che ci si diverte a mascherarsi, che è l'ennesimo motivo di convivialità e di festa. E questo discorso ci sta se però non si spaccia quella festa come “vera”, “storica”, “tradizionale”.

Ai posteri l'ardua sentenza...


Valentina Mura


"Le tradizioni che ci appaiono, o si pretendono, antiche hanno spesso un'origine piuttosto recente, e talvolta sono inventate di sana pianta". Eric J. Hobsbawm



3 commenti:

  1. Mi permetto di aggiungere alcune considerazioni sull'argomento del post precedente, collegate a doppio filo alle asserzioni o provocazioni fatte.
    Perchè nasce l'invenzione di una tradizione? Se volessimo partire dalle origini, non potremmo, in qualche modo, non fare riferimento al "mito" della Sardegna, fondato in primis sul concetto di insularità e dunque come separatezza (in qualunque modo questa voglia essere intesa). A corredo di questo mito vi sono tutta una serie di "tradizioni" che hanno fatto si che quest'immagine venisse rafforzata:Nasce così l'idea del pastore rozzo, del sardo vendicativo, del sardo vestito con orbace, in costume. E questa è sopratutto l'immagine che si aspetta di trovare il turista che varca l'isola alla ricerca del selvaggio, dell'incontaminato .Proviamo a pensare a cosa si associa la parola sardegna. Il termine viene immediatamente posto in relazione a mare (costa smeralda in primis) a nuraghi, a domus de janas e al folklore.( Raramente si collega l'isola a personaggi come la Deledda premio nobel).
    A partire dalla metà del '700 inizia la fioritura attuale di queste invenzioni. Sopratutto si insinua sempre più la consapevolezza con cui "la Sardegna diventa terra da scoprire" come disse il Fuos. Proprio dalla metà del 1700 le impressioni di viaggio dei primi scopritori diventano letteratura e sopratutto diventano terreno fertile per le attuali ricostruzioni o invenzioni di tradizioni. Lasciando perdere le impressioni personali dei viaggiatori ( come sappiamo non sempre positive)quegli appunti così dettagliati su certi aspetti hanno consentito di fissare buona parte di quello che noi oggi chiamiamo tradizione. Ricordiamo altri viaggiatori come l'abate Lambert, che nelle pagine dei racconti del suo viaggio cita cose incredibili e inverosimili che hanno contribuito al rafforzamento dell'isola selvaggia.Bardanzellu che nella sua al tempo monumentale opera offre uno spaccato particolare per quanto concerne anche canti, balli costumi dell'isola; uno dei più noti, il Della Marmora, più che altro geografo, ma anche lui offre uno spaccato di archeologia e di etnografia. Non possiamo poi non citare tutta quella serie di viaggiatori che si sono interessati dell'isola da Delessert A Boullier, a Domenech. Come dimenticare le asserzioni di quest'ultimo quando rientrato in Sardegna definì i sardi:" popolazioni ardenti, simpatiche, buone..con virtù patriarcali, difetti moderni.....". Il suo libro, tanto preso in considerazione da chi si occupa senza titolo di ricostruire tradizioni, non nasce da un'osservazione diretta dell'isola dato che non solo non la visitò completamente ma accettò cose udite spesso trasfigurate dalla fantasia popolare. Probabilmente l'unica cosa di veritiero che scrisse sull'isola è che la sardegna muta.
    Non voglio citare tutti i viaggiatori ma solo lanciare una provocazione agli addetti ai lavori. Quello che rimane degli scritti di questi viaggiatori è di fondamentale importanza per gli studi sul folklore, o perlomeno costituisce un buon punto di partenza.Chi viaggiò e scrisse sui sardi non erano addetti ai lavori ( geografi, letterati, politici ecc)e allora chiedo a voi: che importanza rivestono nell'ambito del recupero di una tradizione o di un abito queste letture? sono realmente utili? Abbiamo visto tante invenzioni attuali che forse nascono da queste letture ( non ultima l'accabadora)..ma sopratutto, considerando tutto questo, esiste davvero una originalità della tradizione? Agli antropologi l'ardua sentenza

    Maria Lucia Mette

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  2. In pratica hai continuato il post! Credo molto nell'importanza degli scritti dei viaggiatori in pieno Romanticismo, Esotismo ed Evoluzionismo. Tramite le loro testimonianze abbiamo un'idea chiara sulla loro posizione riguardo alla Sardegna, che è sempre stata considerata una terra "esotica". Ed è per questo semplice motivo che si deve andare con i piedi di piombo quando si vanno ad analizzare certe opere che non vanno prese come portatrici della verità assoluta.

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  3. "Poco prima che un aeroplano superi la barriera del suono, sulle sue ali si rendono visibili onde sonore. L'improvvisa visibilità del suono nell'atto stesso in cui finisce è un esempio appropriato del grande meccanismo naturale, che porta a rivelare forme nuove e opposte proprio quando le precedenti arrivano alla loro massima attuazione."
    Da: Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, 1964.

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