martedì 19 luglio 2011

L'evoluzione del dibattito

Sono passati più di due mesi dal post Chi può dirsi antropologo? in cui cercavo di andare oltre la frustrazione che serpeggia tra gli aspiranti antropologi e provavo a ragionare su quali prospettive si aprono ad un neo laureato, come tanti membri della nostra associazione e anche io fra non molto.

L’accoglienza iniziale è stata più che tiepida, diciamocelo… qualche ‘mi piace’ su facebook, qualche commento qua e là… poi, finalmente, il dibattito ha iniziato ad ingranare grazie al contributo della comunità di Anthropos.

Insomma, dietro il quadro quasi avvilente in cui versa l’antropologia italiana, qualcosa si muove. Dico ‘quadro avvilente’ perché, sinceramente, non saprei come altro definirlo: i corsi di laurea, triennale e magistrale, stanno chiudendo un po’ ovunque, Sassari compresa; alcune scuole di dottorato, come quella di Siena, spariscono. Il peso dei tagli delle ultime riforme si fa sentire e solo i grossi centri, come La Sapienza o Bicocca, mantengono i loro corsi. Aggiungete il fatto che, nonostante un’ampia mobilitazione, ancora non siamo riusciti a fare in modo che i laureati in antropologia possano insegnare nei Licei delle Scienze Umane o che le funzioni di funzionario DEA presso il Ministero vengano svolte da antropologi.

La situazione può portare all’arrendevolezza o peggio a confidare in una qualche forma di provvidenza. Questo sarebbe il più grosso errore da fare… perché se aspettiamo l’intervento di un deus ex machina che ci risolva i problemi non facciamo altro che lasciarli crescere, finché non saranno troppo grandi anche solo per pensare di affrontarli.

Perché qualcosa si muova al di fuori dell’accademia sono necessari due elementi: impegno e unità.

Impegno in prima persona, dal basso, per comunicare l’antropologia, i contributi che può dare e i campi in cui può intervenire, per portare le nostre riflessioni fuori dai dipartimenti e dalle aule universitarie in cui, a volte, noi stessi le confiniamo.

Unità tra chi cerca di muoversi in questa direzione, attraverso un dibattito costruttivo che porti a forme condivise di azione, con un occhio alle specificità locali (siamo antropologi mica per nulla…) e un orecchio al mondo che ci circonda.

Qualcosa, grazie al dibattito che si è sviluppato su Anthropos, si è mosso. Qualcosa che ci vede attori partecipi, come associazione e come aspiranti antropologi. Come dibattiti simili hanno portato qualche anno fa alla nascita di Antrocom, oggi realtà più che affermata nel panorama dell’antropologia italiana, in questi giorni stanno delineando un soggetto più ampio, ancora da definire nelle sue componenti strutturali ma chiaro nei suoi propositi fondamentali.

ASSDEA non può che essere entusiasta di una prospettiva del genere… è la naturale prosecuzione del percorso iniziato quando, tra chiacchierate in fila in segreteria, di fronte ad un caffè o sostenendo esami, ha peso corpo l’idea di associarci.

Questo nuovo soggetto sarà la risoluzione di tutti i mali dell’antropologia italiana? No, sicuramente no… ma sarà un passo verso quella direzione.

Vi terremo informati sugli sviluppi futuri e vi invito a partecipare attivamente al dibattito sul forum Anthropos. Ne abbiamo da guadagnare tutti o, come dice una canzone politica sarda, ‘possiamo solo perdere queste nostre catene’.

2 commenti:

  1. vivi complimenti per il modo in cui avete posto la questione, sia nella sostanza che nella forma. Secondo me l'antropologia ha, tra le altre cose, bisogno di entusiasmo e apertura mentale. Le premesse ci sono tutte nel prospettiva che avete aperto. Io qualche proposta l'ho fatta, se qualcuno è interessato a discuterla batta un colpo! :-) Grazie.
    Davide - Antrocom Onlus Veneto
    http://www.veneto.antrocom.org/blog/?p=532

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  2. Sono Gianluca Mantoani. Nel 1999 ho lasciato il dottorato in Etnografia e Antropologia a Torino, poco prima di averlo concluso. STavo lavorando ad una tesi di Antropologia del Consumo. Avevo fatto ricerca sul campo a Thessaloniki, occuopandomi del mercato delle scuole private di lingua straniera e del ruolo delle certificazioni linguistiche nelle strategie delle famiglie per "costruire" la personalità sociale dei figli e preparare il loro futuro. Sono entrato nella Grande Distribuzione. Ho fatto il Capo Reparto ed il Capo Settore di Ipermercato, mi sono occupato di Marketing e di Formazione (per poco, purtroppo). E' stato durissimo, frustrante e doloroso. Ma ho ancora un lavoro e (visti i tempi) lo considero un successo. Per mantenermi aggrappato alla mia passione per la'antropologia mi sono inventato www.etnografiaretail.com
    Voglio dire che secondo la mia esperienza nel mondo dell'impresa e del management italiano manca una sostanziale comprensione su cosa renda diverso e peculiare un originale approccio antropologico. Così come a chi viene da una formazione schiettamente intellettuale non ha la percezione di quale sono le urgenze e le necessità di chi deve portare a casa un risultato economico a tutti i costi, pena il fallimento.
    Io ho dovuto fare da me tutta la strada, a piedi, andata e ritorno. Oggi non posso certo dire di essere un antropologo, ma sono convinto di avere in mano la percezione di un terreno etnografico immenso e quasi del tutto inesplorato. e ho una mappa mia, delle idee precise per farlo e un'esperienza personale e indigena di esso. Ma in realtà sono un commerciale. O no?

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