domenica 24 aprile 2011

OSSERVAZIONE PARTECIPANTE: OGGI E' IPOTIZZABILE?



L'”osservazione partecipante” è il metodo di lavoro sul campo utilizzato da Malinowski e celebrato nella sua monografia etnografica Argonauti del Pacifico Occidentale (1922). Questa metodologia prevede lo studio di un gruppo sociale nel suo territorio in maniera quotidiana da parte dello studioso. Lo studioso non cerca solo di capire l'oggetto del suo studio, ma cerca egli stesso di farne parte per poterlo meglio capire.
Ora, l'osservazione partecipante ha da tempo ricevuto le sue buone critiche. Si presume, infatti, che un individuo di una diversa cultura non riesca a trasformarsi, dall'oggi al domani, in un “altro” cambiando non solo i suoi stili di comportamento, ma anche il suo modo di pensare e la sua morale (vedi i diari postumi di Malinowski).
Alla luce di questo vi è dell'altro. La questione è molto più ampia. E' possibile studiare un mondo culturale a noi estraneo senza imbatterci in manifestazioni dello stesso volutamente falsate o forzate?
Qualcuno mi risponderà che tutto ciò che vi era da studiare è stato studiato; altri mi diranno al contrario di si, che nel generale esiste sempre un particolare su cui ancora soffermarsi e indagare.
Ho provato quindi a pensare proprio a Bronislaw Malinowski. L' ho immaginato nelle isole Trobrian mentre prova a identificarsi come facente parte del sistema culturale dei nativi della Nuova Guinea. Lui, venuto da fuori, un bianco sconosciuto ai nativi, nel suo studio verso l' "altro" (inteso come cultura diversa dalla sua), nel suo cercare di essere parte di quel gruppo sociale che lo ospita. Non cerca solo di integrarsi, cerca di diventare un nativo.
Poi ho pensato a un Malinowski di oggi, desideroso di applicare sul campo l'osservazione partecipante.
Non riesco più a considerare giusta la formula dove: una CULTURA si estranea da se stessa per diventare l'ALTRA CULTURA che vuole studiare, integrandosi nel suo ambiente.
Oggi sarebbe poco ipotizzabile soltanto l'idea.
E' molto più probabile che la cultura “altra” conosca già la cultura venuta da lontano che essa ospita per via della globalizzazione. L'incontro tra studioso e nativo si avrà su un piano diverso. Da una parte lo studioso avrà una qualche nozione su l'oggetto del suo studio, dall'altra, e cosa non da trascurare, l'oggetto stesso avrà una sua conoscenza del soggetto che gli si presenta davanti. Il nativo non domanderà più allo studioso che viene da lontano se esso sia "un dottore,... un prete, ...o uno del governo", come accadde a Roy Wagner, semplicemente non si farà più domande.
Prima la cultura ospitante si comportava in maniera non libera, quasi timorosa verso il nuovo arrivato, lo straniero. Era una maniera tuttavia consona al suo comportamento, che si manifestava in determinate situazioni e passibile di probabile osservazione e studio. Davanti al nuovo arrivato, così diverso, gli atteggiamenti erano si condizionati ma veri. Ora non è più così. L'ospite, lo studioso, lo straniero, non è più uno sconosciuto agli occhi della cultura ospitante ma è un turista. I comportamenti sono legati ancora una volta alla percezione che sia ha del nuovo. Ancora una volta non sono liberi. Ma diversamente da prima sono portati nel cercare di apparire al come l'altro (il turista) si aspetta che essi siano.
Ho pensato a questo proposito a tutti i film che ho visto ambientati nelle Hawaii. La scena è sempre la stessa. Il turista che arriva (spesso l'arrivo è idealizzato nell'aeroporto), viene accolto dalle bellezze locali che con grossi sorrisi gli donano una collana di fiori. Anticamente questo fatto era sicuramente una forma culturale di ospitalità verso il nuovo visitatore. Ora è diventato un marchio. Un' immagine turistica. I locali non donano più collane di fiori al visitatore (inteso come amico venuto da lontano), ma al turista. Verrebbe da dire che infondo è la stessa cosa. Ma non lo è. Ora è un fatto automatico, è il volere mostrarsi nella maniera in cui l'altro si aspetta.
Un Malinowski moderno che oggi volesse operare con l'osservazione partecipante (conscio dei limiti che già a suo tempo essa presentava) rischierebbe forse di studiare solo il se stesso visto da altri. Ossia le manifestazioni che un qualsiasi turista si aspetta di vedere e che l'oggetto decide di mostrargli, come un attore davanti al suo pubblico.

Mauro Pirisinu

8 commenti:

  1. Il mito di Malinowski che abbandona la propria comoda dimora per vivere in una tenda nelle isole Trobrjand, che entra in totale sintonia con il popolo che studia e che senza alcuno sforzo consegna al mondo gli "Argonauti" è esattamente questo: un MITO... molto importante e per certi aspetti fondante (come e forse più del concetto di cultura di Tylor) della stessa antropologia culturale..
    che questo sia un mito ce lo rivelano proprio i suoi diari: lo shock culturale, assente nei suoi lavori etnografici, si rivela in quelle pagine in tutta la sua forza... Malinowski ha sicuramente compiuto uno sforzo enorme per tenere fuori dalla sua opera il disagio provato durante la sua ricerca... il risultato è il resoconto di un incontro tra persone reali (e non miti) e tra culture perennemente in movimento, anche da prima che un antropologo decida di mettere la propria tenda ai margini di un villaggio.. i popoli hanno sempre avuto contatti gli uni con gli altri, anche prima che il colonialismo occidentale e la globalizzazione imponessero una dimensione nuova al contatto...
    La corona di fiori all'aeroporto di Honolulu è consona al comportamento degli hawaiani tanto quanto lo era prima, perchè ad essere cambiati sono proprio gli hawaiani.. il rituale di accoglienza del visitatore (che evidentemente esisteva anche prima del turista) si è rifunzonalizzato diventando attrazione turistica.. ma quale pratica non lo ha fatto? diresti che i Candelieri sono SOLO una forma di devozione popolare? o che al contrario sono SOLO attrazione turistica? è evidente che le cose si intrecciano l'un l'altra... e sono per questo i sassaresi meno liberi nei loro comportamenti rispetto a prima? non credo...
    di Malinowski moderni ce ne sono tanti, anche geniali come è stato lui.. la differenza con quello storico è che hanno letto Geertz..

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  2. Il parlare della corona di fiori delle Hawaii era solo un esempio per parlare del generale. Parlare delle tradizioni che cambiano con la modernità, delle culture che che entrano nella globalizzazione, ecc. in realtà è un discorso vecchio se non banale. ci sarebbe tanto da dire. L'esempio dei Candelieri che fai ci può stare nel generale, ma non nel particolare, cioè in quello che mi chiedevo io.I candelieri li situiamo in una situazione sociale nostra. Immaginavo dei nativi di isole lontane, dove il significato di civiltà differisce del nostro, insomma, il classico nativo di una tribù, con il suo modo di vestire (o nella sua nudità)e il suo modo di concepire la vita intesa come natura che, per la prima volta si vede comparire un bianco. Non lo conosce. Ora si, e lo vive in maniera diversa. Sicuramente il mio è un discorso molto banale, ma forse è solo una mia fantasticheria. Ma levato questo, condivido tutto ciò che mi hai scritto.
    Mauro

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  3. Dimenticavo. Si, l'osservazione partecipante è ed era una teoria molto utopica, ma mi piaceva pensare come tale utopia sperimentata comunque ieri potesse o no trovare dei presupposti moderni di attuazione.

    Mauro

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  4. ti ho fatto l'esempio dei Candelieri perchè è la realtà che conosco meglio...
    per quanto riguarda il nativo la tua non è un'idea banale ma semplicemente molto "romantica".. perchè la vita intesa come natura non esiste più da quando l'uomo ha scoperto come riprodurre il fuoco, ha modificato rocce per farne utensili o ha iniziato a praticare l'esogamia (ogni antropologo ha una sua idea su cosa abbia fatto da passaggio da natura a cultura..)..
    sicuramente la globalizzazione ha incrementato le possibilità di incontro, sia diretto (v. turismo) sia indiretto (v. televisione) ma non le ha inventate... l'incontro è sempre esistito, anche per quelle popolazioni che noi pretendiamo incontaminate.. e allora magari potremo scoprire che anche le ultime popolazioni "incontaminate" amazzoniche hanno rituali (di accoglienza o di guerra) per gestire il rapporto con l'altro, bianco o nativo che sia..
    l'osservazione partecipante non è un'utopia, ma opportunamente registrata dopo l'euforia iniziale, rimane la base del metodo etnografico.. con la consapevolezza che per quanto ci si sforzi di vivere come loro non sarà possibile "entrare nella testa dei nativi"

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  5. Infatti, utopia era nel senso non della sua attuazione ma del suo pieno compimento. Come hai detto tu non sarà mai possibile essere o pensare come un nativo. Per alcuni versi, a mio vedere, incappa nelle critiche rivolte al relativismo, in quanto, per quanto un soggetto si sforzi di vedere un oggetto, alienandosi dal suo essere, dalla sua cultura, dovrà combattere contro la sua morale. Nel libro "Antropologia Culturale. L'espressione e l'interpretazione" del Fabietti vi è un buon esempio. Come possiamo vedere in maniera distaccata da noi stessi, con una morale precisa, guardare in maniera distaccata la cultura di un popolo che usa violenze contro le donne e nel quale vige la tirannia. O ancora, secondo Gellner, sempre parlando di relativismo,è impensabile dirsi relativi difronte agli oggetti poichè questo modo di pensare è un atteggiamento voluto, è la "sospensione del giudizio"...Insomma, a mio avviso, relativismo e osservazione partecipante sono si dei metodi di studio e osservazione, ma entrambi hanno dei paradossi al loro interno. Non possiamo pensare di poter essere un altro in quanto non potremmo mai staccarci da noi stessi,

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  6. Sono decisamente d'accordo con Alessandro. Il rapporto "nativo"- turista è molto relativo, molto legato al particolare e molto ben analizzato da Marco Aime. Prima di tutto bisogna chiedersi cos'è il nativo...se è così vero che viva "con la natura" e se è così vero "che è stato modificato" dal contatto con il turista. Se accettiamo che l'incontro è comunque uno scambio reciproco, positivo o negativo che sia, già diciamo che lo scambio è biunivoco. Inoltre il "nativo" risponde ad un immaginario turistico proprio del turista stesso e perchè non dovrebbe farlo? la realtà è cambiata per il "nativo" stesso. Allora forse è colui che tenta di realizzare un'osservazione partecipante che dovrebbe imparare a capire bene anche il contesto in cui si trova, le reazioni spontanee e quelle che lo sono meno...altrimenti sarebbe quasi troppo facile!

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  7. Comunque, il mio post, evidentemente mal posto dal sottoscritto, voleva insinuare al problema del "commodification",cioè la trasformazione della tradizioni locale per rispondere alle aspettative del turista.

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